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Tre fotografie per Palermo. Undicesima puntata

Tre fotografie per Palermo. Undicesima puntata

La fotografia di Daniele è fresca come la sua età e il suo modo di comunicare interessi e passioni. La periferia della città a pieno titolo può rappresentare un punto di vista originale e 'politico', nel senso più alto del termine. L'impressione, alla fine della conversazione con Daniele, è che la tendenza a categorizzare centro e periferia, nord e sud, bellezza e reportage sia solo una strada comoda per dare narrazione alle cose di cui ci occupiamo.

Spulciando le tue foto trovo una serie di icone degli anni settanta, auto in particolare ma anche scene complessivamente forti che buttano l'orologio indietro...

È un’epoca  che sento mia, sia dal punto di vista architettonico,sia per l’atmosfera tipica di quegli anni. Può sembrare strano ma è così...

Quello degli anni settanta è un contesto che interpreti all’interno di questa città, nel senso che riconosci una relazione con il tessuto palermitano?

Si, credo che Palermo subisca un certo tipo di architettura, ad esempio nella sua periferia, almeno per il modo in cui si è sviluppata negli ultimi decenni. Non è una specificità della nostra città, credo appartenga allo sviluppo urbanistico di molte grandi realtà e che nell’immaginario collettivo alimenti anche il modello di una fascia svantaggiata, povera e indigente che abita, lavora e vive la periferia.

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La parte della periferia che hai fotografato di più e che conosci...

Un contesto in cui vivo e di cui sono spettatore. E’ la parte sud-est, i quartieri di Romagnolo, Bancaccio e Sperone, in realtà molto variegati tra di loro. Molte situazioni a cui assisto in realtà non le fotografo e rimangono confinate dentro l’esperienza personale perché, soprattutto se sei a contatto con queste realtà, non è facile fotografare.

Dal tuo punto di vista, giovane e ancora libero dai condizionamenti della storia del territorio, nella periferia di Palermo si è registrato qualche cambiamento? Il sogno di una Palermo tutta centro e senza periferie, con un decentramento reale dei servizi e quindi anche un cambiamento nella percezione dei cittadini e dei turisti, dell’occhio esterno conseguentemente …anche fotografico, quanto si è realizzato?

Si, sono accaduti dei fatti importanti, con una responsabilità ed una sensibilità pubblica e privata parzialmente diversi. Dal punto di vista del trasporto urbano e della mobilità generale sicuramente abbiamo registrato un importante avvicinamento delle periferie al centro grazie al tram, utile anche a realtà commerciali come il Forum di Brancaccio. Una forma significativa di cambiamento è stato anche innescata da alcune realtà come il Centro Padre Nostro voluto da padre Pino Puglisi, una eredità che continua con una sensibilità nuova. Anche se alcune iniziative come la Casa Museo possono apparire una forzatura sono servite per puntare l’attenzione su un territorio dimenticato. Rimane aperta la questione dell’atteggiamento assistenzialistico dei palermitani, che si aspettano un cambiamento generato e supportato solo dall’esterno, senza muovere un dito. In questo senso pochi cambiamenti, l’umore rimane quello di sempre, una mentalità retrograda che si ripercuote sulla nostra incapacità di organizzare dei servizi intorno al volano turistico. Non è sufficiente fare street food e ospitalità spontanea. Non basta e ci fa tacciare, a ragione, di provincialismo.

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Quali sono i temi che ricorrono nella tua esperienza fotografica che interessa in particolare la città?

Il folklore e la Palermitanità che si intravede continuamente, sui muri, dai  ‘Suca’ infiniti che accompagnano molta città urbana alle frasi sgrammaticate, alla ‘lapa’ stracolma di rifiuti ingombranti. In queste immagini c’è una parte evidente della città, popolare e autentica seppure ormai sdoganata dal flusso di fotografie sui social. Come dice Letizia Battaglia Palermo non può essere solo bellezza architettonica, è anche questo tipo di realtà.

Qual è la percezione della città che si offre ai turisti nelle opinioni di un giovane che fotografa ma studia anche Scienze della Comunicazione (media e istituzioni), che dispone già degli strumenti della semiotica e può riconoscere i segni che impattano con l’occhio esterno?

Credo che in questa direzione mi aiuti la mia, seppure breve, esperienza estiva di lavoro sulla nave che collega Palermo a Genova e imbarca migliaia di turisti italiani/europei che lasciano la città dopo alcuni giorni di permanenza. E’ stato utile sul campo acquisire le loro impressioni a caldo, quasi una piccola ricerca sociologica. In generale i giudizi si polarizzano sulla bellezza e sulla sporcizia, una specie di dicotomia eterna. L’idea che i turisti si fanno di Palermo si focalizza però più sul sentimento di anarchia che anima la città, un posto dove ciascuno, secondo il loro punto di vista, fa ciò che vuole, senza regole. Situazioni per loro paradossali che possono divertire al momento ma poi diventano un elemento critico, di pesante giudizio sulla città e sui palermitani.

Chi sono i palermitani secondo te?

I palermitani possono essere considerati come dei pesci che vivono in un piccolo acquario e si limitano a giudicare senza avere mai comparato l’acquario al mare, ad una realtà molto più grande. Il giudizio dei turisti è importante e dovremmo intervistarli più spesso per decentrare il nostro punto di vista che tende spesso a trasferire sulle sole istituzioni la responsabilità.

Quindi una Palermo e una Sicilia dicotomiche, in cui si polarizza quasi tutto sulle categorie bello/brutto e si deve trovare un capro espiatorio,una terra in cui non si riesce a trovare un momento di equilibrio…

Si, l’impressione generale che si forma il turista è seguita puntualmente dalla domanda: “Si, tutto bellissimo, ma perché non lo fate crescere?

Torniamo alla fotografia, è più un fatto esistenziale o pedagogico, si sviluppa su un assunto oggettivo o soggettivo? Può servire strumentalmente a prendere coscienza dello stato di cose, di come viviamo?

Si, può giungere a fini educativi, se nelle intenzioni del fotografo si vuole documentare e denunciare. Ma anche la bellezza immaginata, elaborata mentalmente e poi catturata, se inserita in appositi contesti, ad esempio internazionali può diventare documento di denuncia. Da una prospettiva personale la fotografia può aiutare ad affinare la percezione sia di noi stessi che della realtà esterna. E’ interessante quando qualcuno ti offre una lettura diversa di una foto, qualcosa a cui non avevi pensato, quando una tua fotografia viene esaltata o la banalizzata.

Palermo è stata abusata fotograficamente? Che cosa dobbiamo fotografare?

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Si certo, è stata abusata. I Quattro Canti, ad esempio, sono molto fotografati e c’è una immagine oramai di Palermo su Instagram che rischia di diventare statica. Dovremmo chiedere ai fotografi professionisti di fotografare, magari facendosi accompagnare dagli appassionati palermitani, le periferie di Palermo.

Il contesto o il soggetto umano? Una gerarchia è possibile?

No, l’uno ha bisogno dell’altro, anche se il soggetto umano non è presente in una foto, ugualmente le da valore.

Una foto a cui sei legato..

Vorrei pubblicarle tutte, almeno quelle venute bene. Io penso che le foto debbano essere sempre mostrate e che in chi sostiene di fotografare solo per se ci sia una forma di narcisismo. Sono legato ad una foto scattata in una frazione di Campobello di Mazara, un gruppo di bambini che stanno giocando e sono persi nel  loro mondo. Sono rimasto esterno perché non volevo turbarli. La bellezza non appartiene alla macchina, né al fotografo, sta tutta nella realtà e non bisogna preoccuparsi molto, scattare con sensibilità ma scattare.