
Tre fotografie per Palermo. Dodicesima puntata
La conversazione piacevole con Antonella Bisanti, spazia dall’esperienza personale ad una dimensione artistica che ha conosciuto diverse fasi. La sua fotografia animata da una valida dotazione tecnica e una ricerca consapevole sui contesti culturali e naturalistici, restituisce uno sguardo sul mondo lucido e spontaneo allo stesso tempo.
Antonella Bisanti fotografa quando nasce?
Ho iniziato a fare fotografia durante l’adolescenza, quando ho chiesto una macchina fotografica personale. C’è certamente in chi fotografa quello che in gergo si chiama ‘occhio’. Mio padre dipingeva per cui il rapporto con il visivo all’interno della mia educazione estetica era già molto forte. Da piccola uscivo con lui a fotografare. Le sue foto riguardandole a distanza le giudico buone, per cui credo che l’occhio faccia parte della dotazione genetica, fermo restando che la formazione e la sperimentazione sono importanti, che non si finisce mai di imparare. Quando parlo di fotografia intendo un prodotto finale, che è la stampa, al quale si arriva considerando e intervenendo durante tutto l’intero processo, per ottenere ciò che si vuole comunicare.
La tua esperienza artistica è anche caratterizzata dalle amicizie, dall’aggregazione e dalla relazione con l’altro, in termini artistici e personali…
Si, l’esperienza della condivisione all’interno della mia famiglia con Nino La Corte, mio marito, è molto forte. L’associazionismo nell’ambiente dei fotografi mi ha consentito di crescere e di arricchirmi. Da qualche anno vivo un confronto anche serrato rispetto alle scelte ed alla programmazione culturale della nuova associazione ‘Lunghezze d’Onda’ di cui sono co-fondatrice e Presidente. Portiamo avanti una programmazione che comprende anche la fotografia ma non solo. A monte la voglia di fare le cose insieme, di provare a mettersi in gioco e di contaminare le esperienze visive, narrative, musicali.
Quali sono i temi ricorrenti della tua fotografia, c’è una impronta personale riconoscibile?
La natura, il mare in particolare. Sono una biologa ed in qualche misura le esperienze si intersecano. Ho privilegiato luoghi e scene in cui il mare è spesso presente.
Il mare più bello..
In generale il mare è tutto bello, è l’origine di tutto, l’ho conosciuto nelle sue varianti in molte parti del mondo ma sento un particolare attaccamento al mare di Castelluzzo. E’ il mio mare, con i suoi colori e odori, l’ho fotografato non so quante volte nello stesso posto. E’ un mare che mi ispira anche in termini di scrittura.
Che cosa pensi della tendenza attuale a fare a meno di punti di riferimento culturali, dei maestri che hanno fatto la storia della fotografia?
Si, è un rischio che corriamo oggi. La cosa positiva del nostro tempo è la grande accessibilità favorita dai social che consente a tutti di emergere, di farsi conoscere. Da questo punto di vista la ricchezza di relazioni è molto positiva. Come nella scrittura e nelle altre forme di produzione artistica ci sono le attività diffuse e di massa che non possono però che fare bene, sensibilizzare e alfabetizzare, e le opere dei geni, dei talenti che sono rare. D’altronde, come al tempo in cui la fotografia era solo analogica, si tratta probabilmente delle stesse percentuali sproporzionate a sfavore del talento.
Nella mia formazione ci sono alcuni riferimenti autorevoli, ad esempio Ernst Haas, un autore che mi ha molto influenzato. In generale credo che ‘copiare’, ‘ imitare’, ‘reinterpretare’ un maestro sia indispensabile per trovare la propria strada. Formazione, esperienza, ricerca e conoscenza sono un mix imprescindibile in ogni esperienza artistica.
Quindi la formazione rimane secondo te rimane un percorso fondamentale?
Si, credo di si, la fotografia rimane anche un fatto e un prodotto razionale e si arriva alla stampa per step e processi all’interno dei quali la post produzione non può essere considerata un momento secondario. Chi ha fatto l’esperienza tradizionale della camera oscura ha avuto la fortuna di conoscere e di riconoscere nella vecchia pratica dello sviluppo delle pellicole e della stampa l’interno moderno processo digitale, la sua evoluzione. Occorre essere prudenti quando si esprimono giudizi sul digitale mantenendo un’apertura al cambiamento.
Un errore chiudersi…
La fotografia è il prodotto stampato e la consapevolezza personale che ha accompagnato l’intero processo. Un errore confondere le immagini che possiamo guardare su un display con la fotografia o, pensare di modificare e ‘aggiustare’ quanto è mancante di un’idea chiara, come se l’intervento post produzione si potesse considerare in modo non integrato.
La tua esperienza e l’evoluzione della tua fotografia. Tanto colore e tanto approfondimento culturale, una ricerca profonda portata dentro i contesti, con grande familiarità, siano essi naturali o culturali…
All’inizio della mia esperienza fotografica l’elemento umano non era presente e lo sentivo quasi come un fattore di intrusione a scapito della cornice o della scena. Ricordo attese anche lunghe per liberare la scena dal soggetto umano. Man mano però che cresci sia personalmente che artisticamente ti accorgi, soprattutto dentro il paesaggio urbano, della necessità di comprendere il soggetto umano.
Oggi mi interessa molto la dimensione sociale meticcia, interculturale che avevo percepito molti anni fa a Roma oltre che nei miei diversi viaggi e di cui faccio esperienza anche a Palermo, una città che offre una dimensione umana forte che ho trovato poi nei paesi latini. L’ultima mostra che abbiamo organizzato è dedicata alla dimensione sociale della città e dei suoi spazi vitali.
Come vivi la relazione con la nostra città, che posto occupa nella tua fotografia?
Ho iniziato a fotografare Palermo nell’ambito della mia iniziale professione fotografica come freelance, percorrendola secondo le strade canoniche collegate ad esempio allo sviluppo urbanistico o alla dimensione culturale. Quando fotografi per lavoro ci sono vincoli abbastanza rigidi che dipendono dall’oggetto che devi fotografare ma cerchi sempre di fare delle buone fotografie.
Ricordi un aneddoto?
Dovevo fotografare i tubi giganteschi dei cantieri della circonvallazione di Palermo e approfittai di una visita a casa di un’amica realizzando le foto dal suo terrazzo all’imbrunire, un compromesso tra ricerca emotiva ed esigenze professionali. Riuscire a fotografare e ad occuparsi di temi lontani dai propri costituisce una palestra interessante e la mia pratica fotografica si è evoluta. Quando sono stata assunta nella Pubblica Amministrazione ho lasciato l’esercizio professionale per dedicarmi alla fotografia esclusivamente per piacere, sempre però mantenendo un grande rispetto per l’arte fotografica in termini anche di mercato, separando gli aspetti ed evitando di partecipare all’inevitabile indebolimento della professione. Mi considero una persona libera.
.Che cosa non è cambiato nella nostra città?
I vizi, quelli non cambiano mai.
Ci sono state delle pause nella tua pratica fotografica?
Si , ci sono state delle pause in cui ciò che ho prodotto in maniera discontinua, lo mostravo solo a pochi amici. La fotografia richiede un’armonia con il proprio sé, devi stare bene con te stessa e quando devi pensare più ad altro che a te, non puoi fotografare.
Parliamo dei tuoi progetti e del Messico, so che ti sta particolarmente a cuore…
Ci sono diversi progetti che sto portando avanti. Uno dei progetti a cui mi sto dedicando coinvolge il versante naturalistico, non paesaggi ma dettagli ed è incentrato sulla composizione e sui colori. Per quanto riguarda il Messico sto lavorando ad un progetto che non ho ancora concluso pur avendo già realizzato una mostra personale nel 2011 “Immagini dal Nuovo Mondo”. che includeva anche l’Ecuador, il Guatemala e il Venezuela. L’interesse per questo paese è antico .Recentemente ho trascorso in Messico tre mesi e mezzo, di cui la maggior parte da sola. C’è un forte elemento di contatto tra la nostra e la loro cultura, il modo in cui siamo stati influenzati e ‘dominati’, elementi caratteristici forti che vanno inquadrati oltre il folklore e le manifestazioni religiose e popolari. Quella mostra era stata allestita sottolineando la gradazione cromatica dei colori dell’America Latina, oggi sono più interessata ad una lettura globale della mia esperienza fotografica, un senso complessivo e circolare che deve fare il punto su tutto ciò che ho visto e raccolto.
Nella tua fotografia si può intravvedere una lettura politica? In che modo, se confermi questa mai impressione?
Ci esprimiamo politicamente in ogni cosa che facciamo. Nel senso del rispetto e del sentimento di libertà, non fotografo mai realtà fragili. Nella mia esperienza se mi accade di fotografare in maniera spontanea e senza turbare il contesto poi socializzo quanto realizzato con i soggetti coinvolti. La fotografia ti aiuta a non essere timida e scontrosa. Raramente entro in conflitto con chi fotografo anche per il grande rispetto che porto verso le persone, e mi piace stabilire un rapporto con chi ho fotografato. Dipende solo molto poco dal posto in cui ci si trova e tantissimo invece da chi fotografa, dalla sua sensibilità e capacità di adattamento.

