
Tre fotografie per Palermo. Decima Puntata
Intervistiamo Maurizio De Francisci, fotografo presso il Centro Regionale per l'Inventario, la Catalogazione e la Documentazione grafica, fotografica, aerofotogrammetrica, audiovisiva dell’Assessorato ai Beni Culturali della Regione Sicilia. L’esperienza professionale maturata nella documentazione del patrimonio siciliano e la passione personale si incontrano in un percorso di rara sensibilità.
Conversiamo mentre mi fa spulciare un ricchissimo repertorio con le più belle città europee, l’arte, i viaggi, la cultura, i colori, la fuga malinconica verso l’esperienza analogica mai dimenticata, in coerenza con i principi che regolano l’arte fotografica ma anche il nuovo interesse per la documentazione video.
Maurizio, nella tua attività professionale, di che cosa ti occupi in particolare?
Il Centro è un ente a carattere regionale che opera su tutto il territorio. Esiste e opera dal 1980, secondo le direttive della normativa che istituiva il centro di catalogazione. Alla base vi era la necessità di operare una razionalizzazione, in termini anche di catalogazione e di comunicazione delle risorse culturali presenti in Sicilia, in vista della costruzione identitaria dell’Unione Europea. Da quasi trent’anni insieme ad altri colleghi mi occupo di catalogazione dei beni, con una specializzazione sulla documentazione fotografica, seguendo e monitorando l’intero sviluppo del processo che porta poi alla foto.
Quando hai cominciato a fotografare?
A dieci anni, con una semplice macchinetta fotografica. Ad un certo punto per fotografare in assenza di luce la smontai per selezionare in maniera meccanica la posa B che allora non esisteva come funzione a sé stante. Inserii un laccetto all’interno della macchina per tirare l’otturatore e stabilire tempi più lunghi. Operazioni che oggi non hanno più senso ma che allora ti permettevano di comprendere come funzionava una macchina fotografica. Anche lo sviluppo ti permetteva di ‘uscire’ un numero maggiore di foto rispetto a quelle previste ufficialmente.
Com’era l’analogico rispetto al digitale. Cosa ti viene in mente a memoria viva?
Era diversa soprattutto la relazione tra la fotografia e i viaggi. Tornavi da un viaggio e finché non sviluppavi non potevi renderti conto di quanto avevi fatto in termini di bontà fotografica. Portavi con te ad esempio 5 rullini e c’era un tetto massimo di fotografie che potevi scattare con una conseguente assunzione di responsabilità. Immaginiamo il rischio di rientrare a casa e non trovare alcuna fotografia! Era anche straordinario competere, nel senso più amichevole, con i compagni di viaggio sul numero delle fotografie ‘buone’ scattate. O riuscivi a fotografare o non riuscivi, non c’erano mezzi termini. Oggi la grande accessibilità del mezzo ci consente una potenziale fotografico immenso ma rimane una profonda differenza tra la passeggiata con la fotografia che oggi si suole fare e l’uscita tradizionale che si faceva allo scopo di fotografare.
Tu hai viaggiato molto. Nel tempo quali differenze maggiori hai avvertito tra la nostra città e le città europee, anche in considerazione di come stavano cambiando le grandi città a partire dagli anni ‘80 ?
Si, ho viaggiato tanto, all’inizio come uno dei tanti giovani universitari. Con un amico visitai l'Italia in autostop, poi cominciai a viaggiare anche con la moto, la mia K75, fotografando tantissimo nelle situazioni più disparate. Ho fotografato Palermo come le altre città europee, in Francia, come in Danimarca e nel nord Europa, senza trascurare l’area del mediterraneo e quelle realtà che si stavano emancipando pian piano dai regimi. In una prima fase la fotografia è legata ad una passione disinteressata ed ai miei viaggi poi la passione è stata interiorizzata all’interno del mio lavoro, ho sempre però fotografato tanto. Ho girato molto e fatto diverse personali ma sono lontane nel tempo, soprattutto sono lontano ormai dall’idea di fotografare Palermo per registrare una evoluzione significativa dei suoi spazi e della sua vitalità. Palermo è una città molto particolare. Trovare tre foto per rappresentare Palermo rispetto ad un cambiamento possibile come mi hai chiesto non è facile. Assomiglia ad una città che è cambiata, che sta cambiando, come è accaduto a tutte le grandi realtà urbane, in realtà non è mai cambiata.
Una foto per rappresentare nel bene e nel male la nostra città…
C’è una foto che può rappresentare uno spartiacque nella storia di questa città: la demolizione negli anni ottanta della ex centrale elettrica Quattroventi. Un abbattimento che ho fotografato e considerato un rapimento dell’identità della città e che rimane nella mia memoria come un epilogo, la cessazione di un simbolo che poteva rappresentare la rinascita. Con l’abbattimento delle ciminiere la città cessa la sua identità e si ferma rispetto ad un cambiamento possibile.
Palermo non ti sembra quindi cambiata?
La città che percepiamo cambiata è una Palermo apparente, in realtà è rimasta identica a se stessa. L’ho fotografata tantissimo e nell’ambito della mia attività professionale accade spesso di riproporla. In termini di interesse e di passione personale ho smesso però di fotografarla.
Rispetto alle altre province siciliane Palermo ti sembra esprima una involuzione o in generale, la percepisci come meno dinamica?
Dal un punto di vista strettamente collegato alla mia professione di documentarista, rispetto alla tutela, alla conservazione ed alla fruizione del patrimonio culturale ed ambientale ho in realtà l’impressione che in tutta la regione si registri una evidente mancanza di consapevolezza. Non ci sono buone prassi o eccezioni, forse il ragusano ma solo perché è lontano ed è più isolato dai centri di interesse amministrativo ed economico. La specificità e la bellezza delle nostre province risiede nella radicale diversità, al punto che attraversandole hai l’impressione di passare da uno stato all’altro. Dal punto di vista fotografico non si può rimanere indifferenti perché ci sono posti straordinari ma anche gli scempi sono egualmente distribuiti su tutto il territorio. Dal ’91 al ’98, per ragioni di servizio ho abitato sette anni a Catania, un periodo che considero meraviglioso. Per me quella fase sarà significativa, sia per per la conoscenza del patrimonio ma anche per dinamicità personale. A Catania è molto più facile organizzare delle iniziative, sviluppare progetti, creare aggregazione e realizzare momenti di crescita. Credo si tratti di un diverso atteggiamento culturale.
Palermo dal punto di vista fotografico è cambiata? E’ stata abusata?
Si, sicuramente. I mercati storici sono stati mantenuti nella loro fisionomia commerciale e ‘palermitana’ sino alla fine degli anni novanta. Fino ad allora, nonostante si intravedeva già la crisi e l’agonia di alcune realtà come la Vucciria, nei mercati si respirava un’aria particolare. Dopo qualche anno abbiamo assistito ad una grande trasformazione a scapito delle botteghe palermitane. Questa trasformazione l’ho documentata, è sempre più forte ed ha causato uno svilimento dell’identità storica. Unico elemento interessante la creazione delle isole pedonali e il tentativo ancora timido di sviluppare la mobilità leggera, una infrastruttura che apparteneva già a Palermo, il vecchio tram e che era stato dimenticato.Quindi in realtà nulla di nuovo anche in questo caso.
Invece dell’evoluzione della fotografia dall’analogico al digitale, dal momento che hai fatto tanta esperienza di catalogazione nei due versanti, che cosa puoi dirci?
La fotografia è cambiata radicalmente. Credo che la fotografia per il modo in cui io la intendo sia morta. Per questo motivo nel tempo il mio occhio fotografico che mi ha permesso di scattare in luoghi difficili come la Russia, di documentare istanti che mi sembravano importanti sotto l’aspetto della fotografia culturale, ho deciso di declinarlo verso le riprese che mi pare conservino ancora un’autenticità che si è persa con la post produzione nella fotografia.
Nella fotografia analogica operavi scelte fondamentali e accompagnavi l’intero processo. Penso alla scelta della pellicola, quando la tiravi un po’ di più, o alla carta, ma anche alla filosofia che la ispirava. Si poteva fotografare la Valle del Bove sull’Etna in bianco e nero e rendere perfettamente la potenza della lava, in una dimensione artistica lontanissima dalla saturazione dei colori a cui assistiamo oggi ad esempio sui social. Le foto che scattavi viaggiando poi, potevi vederle solo dopo un lungo periodo, 20-30 giorni, due mesi, in cui metabolizzavi il viaggio e l’esperienza. Naturalmente e in generale non ho smesso di fotografare in funzione però della documentazione video che costituisce oggi la mia azione professionale principale.
Quindi difficile organizzare un giro per fotografare la città!
Si, difficile, raccontare si, interessante, ma uscire in gruppo per fotografare Palermo mi sembra improbabile.

