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Tre fotografie per Palermo. Prima puntata

Tre fotografie per Palermo. Prima puntata

Intervistiamo Salvo Valenti, fotografo palermitano

Questa prima intervista apre la rubrica ‘Tre fotografie per Palermo’. Ogni due settimane intervisteremo un fotografo palermitano per rappresentare in una simbiosi personale e narrativa la relazione con lo spazio urbano.

La tua idea di fotografia…

Non è semplice raccontare come si fotografa, in generale prediligo le inquadrature pulite, sono in questo senso un perfezionista, ritengo che si debba comunque cercare di catturare quello che non si vede, poi è chiaro che la fotografia è testa e cuore allo stesso tempo…

Parliamo di Palermo, dei suoi spazi metropolitani. Quali sono le caratteristiche fotografiche di Palermo? Ad esempio ad un amico che non ha mai fotografato Palermo che cosa diresti, cosa anticiperesti di luoghi e atmosfera urbana?

Io gli consiglierei di fotografare tutto, Palermo è una città che va vissuta e fotografata tutta. Palermo presenta mille facce e risorse ed è anche parecchio cambiata. Ad esempio l’isola pedonale offre uno spaccato nuovo della sua bellezza. Non avevo mai concepito di ritrovare con l’isola pedonale una parte della città che avevo già fotografato ma che dentro l’isola presenta nuove sfaccettature.

Ci sono luoghi a Palermo che l’esperienza fotografica tende maggiormente a valorizzare e luoghi invece marginali che meriterebbero maggiore attenzione?

I mercati storici sono i posti più inflazionati, oserei dire abusati, così come Mondello. Anche se presentano un interesse antropologico e paesaggistico forte. Invece la periferia, i cosiddetti rioni, sono poco fotografati anche per la difficoltà di scattare in questi contesti, socialmente più difficili. In alcuni posti non puoi pensare di entrare e di fotografare senza un preventivo contatto mediato da una persona del luogo.

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Il palermitano è egocentrico, si fa fotografare dagli altri, dai fotografi di strada ad esempio?

Nel tempo si è abituato, soprattutto il palermitano che lavora, anche per la presenza cresciuta dei flussi turistici, oggi si lascia andare e si diverte. Spesso quando fotografo un soggetto che non conosco per creare anche una relazione gli regalo la foto che ho scattato. E’ una strategia che consiglio, indipendentemente dalle relazioni con il contesto che è corretto sviluppare. Recentemente sono tornato al mercato delle pulci e alla cala con alcune stampe realizzate che ho omaggiato ai pescatori e agli antiquari ed ho notato che a loro ha fatto moto piacere riscoprirsi a distanza di giorni dallo scatto nella stampa.

Come inizia a fotografare Salvo Valenti?

Ho iniziato con una modesta compatta, è stato un percorso semplice, aiutato anche dalla rete che ti consente di interagire con ‘amici’ di maggiore esperienza, accettando le critiche e migliorando gradualmente la tecnica ma anche la sensibilità. E’ bene fotografare tanto all’inizio, misurarsi con il genere e scegliere anche percorsi personali. Tanti sono gli amici che mi hanno dato ottimi consigli. Ci si può migliorare e si può crescere, io non sono mai contento dei miei scatti, sono molto autocritico. I social, che sono una grande risorsa, in realtà non aiutano il confronto con gli altri perché si tende ad accumulare like in maniera autoreferenziale, mente è importante accogliere le critiche costruttive, interagendo con gli altri senza manifestare permalosità e senza offendersi.

Ci sono luoghi a cui sei affezionato, che sono rimasti impressi nella tua memoria emotiva?

Forse la prima foto particolare a cui sono rimasto legato l’ho fatta alla Tonnara di Vergine Maria, una zattera con due bambini e due tortorelle che si sono alzate mentre scattavo, mi è rimasta impressa per la particolarità del momento.

Parliamo della Palermo abusata, urbanisticamente, dal momento che i suoi spazi hanno dovuto contenere nel tempo varie forme e gradi di violenza. Palermo in senso fotografico, dal tuo punto di vista, veicola pregiudizi?

I bambini certamente sono un soggetto abusato, come la tendenza a fotografare sempre gli stessi soggetti nella dimensione popolare, senza curarsi del contesto. Si racconta poco la cornice territoriale e si fa poco reportage. Le sagre, ad esempio ma anche lo stesso Pride veicolano immagini abbastanza convenzionali. Palermo è anche questo, ma si rischia di inflazionare, un rischio che si corre soprattutto con il genere street.

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Palermo è soprattutto in bianco e nero?

Si, sostanzialmente è in bianco e nero, anche se è piena di colori. Il bianco è nero ti consente di andare oltre, in alcuni casi di cogliere l’anima dei soggetti. Per quanto mi riguarda è una questione aperta.

C’è qualcosa che ti infastidisce nella fotografia e nelle esperienza fotografica?

Forse certi contest e l’approccio alla fotografia con uscite di gruppo. Può essere interessante qualche volta, un modo per trascorrere un paio di ore con persone che conosci ma si rischia naturalmente di cogliere tutti gli stessi soggetti, di invadere la città. Io non amo uscire per fotografare, la fotografia è qualcosa di complesso.

Che ne pensi della Palermo divenuta famosa nel mondo attraverso i corpi dei morti ammazzati fotografati? Un’icona drammatica che in parte ha fatto la fortuna di una rappresentazione efficace, in senso globale, forte quanto l’antimafia. Secondo te questa impronta è ancora forte?

Senza questi morti non ci sarebbe stata un certo tipo di fotografia e di lettura narrativa della città. In questo senso la mafia è diventato un valore aggiunto, in senso fotografico, naturalmente. Palermo non può fare a meno di questo pezzo di storia seppure tragica.

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La fotografia come genere si è indebolita rispetto a qualche anno fa?

I social, l’accessibilità, la possibilità di fotografare, il rischio di trascurare la qualità. Anche nel mondo degli artisti ci si comincia ad accontentare della foto veloce, che si può postare immediatamente.

Hai in mente o stai realizzando qualche progetto che coinvolge la città?

In questo momento sto sviluppando un progetto mirato a ripercorrere valorizzando la rete di amici un bagaglio di esperienze, a Palermo, un modo per rappresentare con una foto  l'autencità dell'essere a casa e nella dimensione domestica. Un altro progetto lo sto sviluppando il primo di ogni mese, alla fine dell’anno ci saranno dodici fotografie scattate nello stesso luogo, sostanzialmente uguali, a parte la luce, nella scena, ma diverse nel sentimento che le ispirerà. Ogni foto dovrà rappresentare un sentimento primario.