MENU ×
Se mi contagi non ti perdono

Se mi contagi non ti perdono

Abbiamo cercato di costruire una società solidale e dialettica ma l’inclusività del Covid batte ogni sentimento di reciprocità

Si discute spesso delle limitazioni alla libertà individuale, del condizionamento della socialità e della vita collettiva, dell’apparato di regole e dei dispositivi del distanziamento che occorre mettere costantemente in atto nei luoghi pubblici.

Da qualche ora le restrizioni delle libertà previste nell’ultimo dcpm del 7 Ottobre introducono però un elemento “pericoloso”, un sintomo del modo in cui possono mutare le relazioni nello spazio privato del luogo domestico.

Il premier Conte ha escluso l’obbligatorietà delle mascherine nelle abitazioni private ma ha invitato a "rispettare la distanza tra amici e parenti per evitare contagi". Una raccomandazione condotta sempre con toni pacati e con quel senso di paternalismo che risulta efficace e funziona, quanto meno nel tempo televisivo che scandisce piccole e grandi paure, nel distillato dei dati che regione per regione vengono ogni giorno dipanati come il filo di Arianna.

Ora sappiamo che i controlli nel territorio, pochissimi e carenti sotto il profilo organizzativo, aiutano a far crescere a colpi di ammonizioni e multe salatissime il senso di responsabilità di tutti. Si sta formando una sensibilità nuova, una forma di coralità dell’agire collettivo che gradualmente, non senza fatica, riesce a mette alla gogna i negazionisti e i ribelli oppositori della mascherina.

In sanità e in epidemiologia quanto si sta facendo va sotto il nome di sorveglianza attiva. I committenti e i titolare della sorveglianza sono le istituzioni. Di fatto però la novità introdotta in questa nuova pratica di sorveglianza è rappresentata attraverso l’App Immuni, scaricata e utilizzata ancora da una percentuale minoritaria di italiani, dal ruolo ambivalente dei cittadini, in cui l’azione dell’essere sorvegliati viene annullata dal ruolo di sorveglianti. Siamo diventati fautori del sistema di sorveglianza, esecutori, passivamente lo subiamo ma pian piano lo abbiamo interiorizzato al punto che siamo competenti, padroni e mappatori dei contagi . Controlliamo lo spazio in cui ci muoviamo allontanando il pericolo.
Immaginate una gazzella che attraverso un app specifica che potrebbe corrispondere in questo caso ad un potentissimo olfatto si tiene lontana dai suoi predatori. Oppure un’app che consente di non incontrare i nostri ex, i colleghi antipatici, non entrare nei ristoranti dove un ingrediente è andato a male o dove un cameriere fa uso di droghe pesanti.

Provo sempre una particolare avversione nei confronti delle forme di “sorveglianza invisibile”, si introducono nei pensieri e contribuiscono alla costituzione di sinapsi nuove da cui può dipendere poi un atteggiamento che non credevamo di potere mettere in atto, un pensiero contro qualcuno, una gerarchia rigida di comportamenti non ammessi.

Citare lo spazio privato come un luogo sul quale dobbiamo esercitare un tipo di consapevolezza che tiene conto del distanziamento lo trovo pericoloso perché se per un verso non si obbliga all’uso della mascherina, per un altro si raccomanda un tipo di attenzione prossemica che altera il legame fiduciario e trasforma il nucleo di amici e parenti in un esercito di mercenari emotivi. Non siamo più liberi di immaginare e la tecnocrazia sanitaria  ci  ha dotati solo di cattiva immaginazione. Non sono un negazionista e indosso sempre la mascherina ma faccio fatica a non pensare che il prezzo sia troppo alto.

Passerà Il Covid-19 ma noi riusciremo a perdonare  amanti, amici, compagni che ci contageranno?