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San Silvestro distopico

San Silvestro distopico

Gli auguri di fine anno sono un esercizio sociale dovuto. Con gli amici veri o quelli virtuali ci si augura un anno diverso da quello che ci sta lasciando. Più fortuna, più salute, più gratificazioni professionali, più amore e pazienza, più tolleranza, più economie e più successo. Gli auguri però sono un atto comunicativo narcisistico, una partita cieca che si gioca col nuovo anno e si chiude col vecchio.
La chiusura dell’anno in corso non è proprio cieca, anzi ci vede benissimo, perché tutti gli eventi, soprattutto quelli che ci hanno procurato sofferenza e preoccupazione, nella nostra mente si dipanano in un calendario lento, ricco di interruzioni, dai fogli ruvidi.

Che cosa ci si può augurare nel 2022? Dopo un anno difficile come il 2021? Dopo il 2020, altro anno critico? Non piccole cose, non le circoscritte ambizioni personali, la conservazione del nostro domestico spazio vitale. Io vorrei sognare, pensare e cercare di mettere in campo quelle utopie che chiedono un cambiamento radicale dentro le nostre esistenze. Le utopie oggi si presentano urgenti, le sentiamo uno scarto necessario, di discontinuità temporale con quello che è stato. Almeno questa sembrerebbe essere un’ipotesi possibile (almeno per me e per la mia esperienza) per intravvedere una relazione con l’anno nuovo. Però anche con gli slanci utopistici sembra di rimanere ancorati al narcisismo patologico del nostro tempo, che coincide con il senso comune di volersi aspettare qualcosa di buono, un affrancamento definitivo dalla pandemia per rientrare nella normalità.

La stessa normalità compulsiva, difesa e agognata in questi giorni con le lunghe code per i tamponi che si rappresenta nei vecchi archetipi della cena di San Silvestro con la famiglia e con gli amici. Almeno questa mi pare essere per il grande pubblico una bozza di normalità con la quale ci si vuole apprestare a salutare l’ultimo dell’anno.

Non so cosa augurare ai miei amici e ai miei familiari. Le prime parole che vengono in mente sono la salute per gli anziani e i vaccinati e, simultaneamente, una bella dose di ragionevolezza per i non vaccinati. Oppure – e qui mi sbilancio -  una innovata e più efficace modalità di gestione dell’ansia. In questo modo stiamo sempre dentro la dicotomia, la nuova zona comfort che piace quasi a tutti, l’unica che ci permette di trovare un capro espiatorio alle restrizioni che accompagneranno ancora come promesse certe o minacce le nostre giornate.
Ma la salute cos’è? E’ difficile, dopo due anni, pensare alla salute. Salute pubblica, con l’antropocene che va tanto di moda, è forse infettarci tutti con la nuova variante meno aggressiva, così il virus diventa endemico? Oppure immunizzarci con 4-5 dosi di vaccino bombardando il sistema immunologico, compreso quello dei bambini. O Salute è anche Immaginare che la pandemia sparirà finalmente dal nostro orizzonte culturale, potersi fare finalmente una botta di salute mentale recuperando la normalità degli stili di vita.

Ma se la pandemia sparisce di che cazzo dobbiamo parlare? Come recuperiamo la normalità? Ci piaceva davvero la nostra vita prima della pandemia? Potrà accaderci ancora? E saremo pronti? E i giornalisti che faranno con i loro palinsesti? E i complottisti che cosa si inventeranno?

Nella buona ripresa della nostra comune capacità di sognare e di immaginare nel corso del 2022 un cambiamento radicale si gioca una bella partita. Abbiamo bisogno di sognare e la salute ha a che fare con i sogni e con le speranze, con la possibilità di trovare sia uno spazio intimo, sia uno spazio sociale ai nostri sogni, per spingerli e trasformarli nei sogni e nei desideri degli altri.