San Pio, il condizionatore e i panni stesi
Salta all'occhio la contaminazione che attraverso le statuette di San Pio si realizza nello spazio urbano
San Pio di Pietrelcina (ma per tutti è rimasto sostanzialmente Padre Pio) domina la scena dello spazio urbano di Palermo, conosce il centro e la periferia, interventi pubblici e privati di installazione permanente della sua immagine popolare. E' una icona tradizionale, accessibile al mercato di scala dei fedeli. Oggi sarebbe un inflluencer con un oceano di commenti fortemente polarizzati. Ha diviso allora la chiesa e il paese, oggi invece accudisce molte piazze e vicoli di Palermo.
Salta all'occhio però la contaminazione che attraverso le statuette di San Pio si realizza nello spazio urbano, senza alcuna cura estetica dello spazio, nel rispetto di una elementare congruenza tra i sentimenti comuni, la libertà di riconoscere la bellezza e la professione del culto.
La cura delle bellezza, come dichiara Peppino Impastato in una delle scene più struggenti dei Cento Passi, dovrebbe costituire un impegno comune, riguardarci da vicino come l'acqua che beviamo e i vestiti che indossiamo. Se volete vedere le peggiori nefandezze della religiosità popolare palermitana fatevi un giro nei quartieri e incontrerete le statue più brutte e accessoriate dell'esperienza confessionale.
Al cattolicesimo popolare si potrebbe muovere quindi questo rimprovero, insieme a tanti altri più gravi: la mancanza di sensibilità estetica, la volontà a tutti i costi di deturpare lo spazio, di costituire e installare nei quartieri già brutti elementi di disarmonia e di squilibrio.
Ci sono poi le case private in cui statuette del santo vengono incastonate nel prospetto quasi mai a norma.
Insomma, ognuno ha il suo Padre Pio e ci sono parrocchie in cui tra le case dei fedeli si fa sostare per una o due settimane una statua, non importano le dimensioni e la fattura, importa generare traffico, contatti, likes, followers. Anche tra i mafiosi, gli omofobi, gli invidiosi, un po' tutti rassegnati a vivere nelle brutture delle modernità.
Foto e testo di Carlo Baiamonte

