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Penna in Buca: Sentimi (Rubrica di Viviana Stiscia).

Penna in Buca: Sentimi (Rubrica di Viviana Stiscia).

Sei tanto fragile e piena di paure, ma proprio questa no, non me l’hai contagiata. Io non lo sapevo di aver vissuto come una non vedente. Io non lo sapevo. 

Colpo di tallone contro gamba della sedia. Di fretta, in corridoio. Bilancia, orologio e sveglia parlante. E adesso me ne chiedi ancora una; così, se ti dormo accanto, qualche altro soprassalto non me lo scanso quando ti svegli, in preda all’ansia, e speri che si stia facendo giorno.

Non me lo avevi detto che non avevi mai visto le stelle, la luna alta nel cielo o il Castello Utveggio in cima a Monte Pellegrino ed io non ci avevo mai pensato, che cretina! Non me lo avevi detto che da anni il tuo mondo era solo di luci ed ombre, bianco e nero. Io questo lo sapevo, ma il suono di quelle parole mi ha spaccato i timpani.

Colpo di tallone contro gamba di sedia. Di fretta in corridoio. L’ho fatto per anni, infinite volte. Non mi è mai pesato, neppure una. E’ questa la nostra normalità. Non ricordo che tu mi abbia mai detto come fai. Ed io non te l’ho mai chiesto. In casa ti muovi come una gazzella e non manca mai qualcuno che te lo dica: “Ti tolgono l’accompagno!” e tutti a ridere a crepapelle, compresa tu, fiera delle tue prodezze.

La pasta al forno, le polpette con la salsa, la cuccìa immancabile sulla nostra tavola, chè il 13 dicembre è la festa di papà. Nessuno crede: “Questa ci marcia”, qualche stupido lo dice anche, ma che ne sa del tuo mondo, cosa ne sa di noi!

Sei tanto fragile e piena di paure, ma proprio questa no, non me l’hai contagiata. Io non lo sapevo di aver vissuto come una non vedente. Io non lo sapevo. Muovermi nel buio, la notte, era solo un gioco. Eppure i letti erano tanti e la gimcana non era facile per raggiungere indenne la porta della stanza. Scontato per me che tu cucinassi senza mai guardare, senza pesare, chiedendo a noi se la salsa avesse ben colorato la pasta prima di versarla nella teglia, la teglia unta e panata da te, da te soltanto, ché solo tu sai come fare “se no, s’attacca!”. Stiri con una precisione da chirurgo, che i tuoi occhi sono scivolati giù fino alle dita. E con le dita trovi il fornello da accendere e resti lì, finché non senti il calore della fiamma.

Colpo di tallone contro gamba della sedia. Di fretta, in corridoio. E “odoralo, ché sta in frigo da troppi giorni”. E i giorni saranno due e non di più, ma tu lo sai che fingi col ragazzo della spesa, quando guardi le scadenze, mentre gli porgi con destrezza il denaro e pure questo torto t’hanno fatto, le lire erano più facili per te.

Io non lo sapevo cosa avevo imparato da te. Beh, certo le tue massime ripetute fino allo sfinimento con le quali lavavi, lavi e laverai nei secoli dei secoli i nostri poveri cervelli. E la matematica, che pure le espressioni tutte a mente tenevi e, dandomi le spalle, tra un piatto insaponato e una forchetta: “Vedi che hai saltato un passaggio, torna indietro!”. E la Centona che quando i tuoi occhi si sono spenti che fa? Niente, ce la racconti, che mi piace anche di più se t’interrompo e tu non perdi mai il filo.

Colpo di tallone contro gamba della sedia. Di fretta, in corridoio. Ma che ho fatto, non l’ho dato? Manco da casa da qualche anno e tutta la nostra normalità mi sfugge di mano. La gamba di quella sedia deve cadere lì, sul terzo mattone. E gli anelletti nella seconda mensola a sinistra, accanto ai rigatoni, che tanto non li confondi con la vista delle tue mani. E devo smettere di giocherellare col nastro adesivo che hai incollato sul telecomando, giusto sul tasto di RAI 3, che quello ti piace. E non posso bluffare, che il sale nella pentola non è quel pizzico che mi hai insegnato tu, si sente. Avrai papille gustative che fanno i detective. E l’acqua nella caffettiera non sfiorava la valvola ed il caffè ora ha imbrattato tutta la cucina a gas, l’odore di bruciato l’avverti sùbito ed è inutile che apra la finestra. Stride ed entra anche un po’ di fresco. E sì che te li poto ‘sti gerani. E’ tempo. E’ vero non l’ho fatto domenica scorsa. Avresti sentito l’odore dei rami appena tagliati e invece no. Tu hai paura ad affacciarti ed è inutile che ti ripeta che ci sono le ringhiere, cosa ne so io? Cosa ne so? E’ vero, mamma, io non lo so.

Viviana Stiscia (*)

(*) Nata nel 1960, due giorni dopo Fiorello – saperlo la fa sentire più giovane – mai cresciuta, ancora in vita, sempre pronta a raccontare di questa aneddoti dolceamari, tanto veri quanto buffi. Ma anche amori, sogni, flussi di coscienza, mondi reali solo in un tempo che non c’è. Insegnante di filosofia e psicopedagogista, ma questo è soltanto ciò che fa, non ciò che è, e non ama si confondano le cose. Essere stata precaria ha forgiato la sua personalità al punto tale che ogni forma di stabilità la spaventa, tanto quanto l’anela. Madre di Alessandro, dedica a lui ogni attimo, ogni parola che, d’ora in poi, sussurrerà ai vostri occhi, se solo lo vorrete.

Foto: Viviana Stiscia fotografata da Giusy Tarantino