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Penna in Buca: La figlia di Dio (Rubrica di Viviana Stiscia).

Penna in Buca: La figlia di Dio (Rubrica di Viviana Stiscia).

E poi giunse il tempo in cui il Signore, guardando in giù dall’alto dei cieli, pensò dovesse mandare nuovamente suo figlio sulla terra.

Troppi secoli erano trascorsi e troppe cose c’erano da aggiustare. Rimandare ancora era impossibile.
A quel punto lo chiamò e lui, svogliatamente, si presentò al Padre attendendone i comandamenti. Lassù il tempo è eterno, si sa, ma il ricordo di quei difficilissimi 33 anni cominciati in una grotta e terminati su una croce, non si era affatto sbiadito.
Mentre riceveva tutte le istruzioni per l’uso delle creature del 21mo secolo, con incedere deciso, a testa alta e voce sostenuta, interruppe il sacro dialogo un’eterea figura femminile: “Allora, Padre, così non possiamo andare avanti. Ancora una volta lui? Ma quando pensi di rivelare al mondo la mia esistenza? Tu hai parlato agli uomini attraverso Gesù e loro – è vero che non hanno creduto fosse tuo figlio e gli hanno fatto fare la fine che tutti sappiamo – però, quando si sono convinti che dicesse la verità, si sono convinti anche che fosse figlio unico. E io? Forse c’entra qualche cosa il fatto che sia femmina? No, è inutile che mi blandisci dicendo che siamo solo spirito, anche lui lo è. Però è uno spirito maschio. Anche io, Padre caro, sono fatta della tua stessa sostanza, o mi sbaglio? E se, come mi confermi, non mi sto sbagliando, perché non mi dai la stessa opportunità che hai dato a lui 2017 anni fa?”.

Il ragionamento della figlia non faceva una grinza e permise al fratello di tirare un grande sospiro di sollievo, ma aveva creato un profondo imbarazzo nel Padre: mandare la figlia femmina sulla terra avrebbe minato le fondamenta dell’intera cristianità. Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre - il numero perfetto - e sono maschi. E sulla terra, a guidare la Chiesa c’è ancora oggi un maschio. E in famiglia comandano, o pretenderebbero di farlo, ancora una volta i maschi!
No, occorreva dissuaderla.
Ma la figlia non voleva saperne. Aveva rimuginato per tanti secoli terrestri quel pensiero ed ora, in nome delle donne, pretendeva le venisse riconosciuto il proprio ruolo e ritornò all’attacco: “Padre, ascolta, se scendessi io sulla terra, non sarebbe proprio la stessa cosa. Lo sai che le donne hanno una vita difficile, tu stesso ne provi orrore. Allora, lasciami andare. Potrei fare cose nuove, potrei portare una nuova parola di Dio, che tenga conto dei nuovi tempi, dei nuovi orrori e delle nuove pesti. Lascia che vada”.
Il Signore, allora, guardando ancora una volta giù dall’alto dei cieli e vedendo lo scempio della violenza che l’essere umano era riuscito ad escogitare nei secoli decise, suo malgrado, di assecondare il volere della figlia: E che (D)io te la mandi buona, ragazza mia.
L’eterna giovine vide realizzare finalmente il suo sogno, ma d’improvviso, un velo di preoccupazione le offuscò la vista: “Padre, ma mi dirai dove finirò? Anche io in Palestina? Perché sai, di questi tempi! Oppure dove? Sulla terra c’è l’ISIS, l’infibulazione, la lapidazione delle donne sospettate di adulterio. Ci sono i maniaci sessuali, quelli che accecano con l’acido le loro donne o addirittura le uccidono?”.
E, così facendo, porse il fianco al Padre: “Lo vedi Figlia mia, io lo sapevo? Lascia perdere, mando tuo fratello, voi femmine siete fatte così. Vi ho fatte debolucce. Ma che ti manca qua? Chetati!”.
Profondamente ferita nell’orgoglio, la figlia ribadì la propria decisione:” E invece, no, vado io, e vado immediatamente! Ma ad un patto, però. Devi farmi dimenticare di essere tua figlia”.
E Il Padre eterno: “E a che pro, scusami?”.
“A che pro, a che pro, ma tu che sei onnisciente, che domande mi fai? Se arrivo sulla terra e, non solo sono femmina, ma dico pure di essere la figlia di Dio, del Dio dei Cristiani, che fine pensi mi facciano fare?”.
Il Padre eterno, in effetti, cominciò a nutrire qualche preoccupazione anche Lui: è vero che aveva l’asso nella manica della resurrezione ma, rispetto a 2017 anni prima, in tecniche di tortura, specie nei confronti delle donne, gli uomini si erano perfezionati oltre ogni limite.

Decise così, ancora una volta di assecondarla, in fondo solo due figli aveva e per la femmina non doveva preoccuparsi neanche della dote!
Giunse il giorno della discesa dal cielo. Lei era più luminosa del solito e il Padre celeste le disse: “Figlia mia, ma dove credi di andare combinata così? Ma l’hai capito o no chi sono i maschi sulla terra? Hanno commesso il peccato sin dalle origini e non se ne sono liberati più, a qualunque parrocchia appartengano, e ci siamo capiti. Quindi, occhi bassi, dimessa che lì angeli non ne incontri. Ed ora è arrivato il momento dell’incarnazione”.
“Fermo Padre, fermo un attimo soltanto! – disse concitatamente la figlia – un’ultima importantissima raccomandazione: io non solo non debbo ricordare nulla delle mie origini divine, ma nessun strizzacervelli può intervenire sulla mia rimozione né con l’interpretazione dei sogni, né con le libere associazioni o con i lapsus, insomma con nessuna di quelle diavolerie – ops, perdonami, mio Signore – che s’inventò quel famoso Freud. Vado in incognita ed in incognita devo ritornare!”
E vada anche per quest’ultimo desiderio.
Giunta sulla terra si ritrovò proprio in Sicilia. Aveva ormai una trentina d’anni, non ricordava i suoi sacri natali, ma quelli terreni sì: famiglia affiatata, un fratello di nome Salvatore, madre Maria e padre Giuseppe. I suoi erano economicamente modesti, ma le avevano garantito gli studi sino alla laurea, laurea in giurisprudenza. Adesso era un avvocato in carriera, eppure aspirava a diventare magistrato: sentiva dentro di sé una immensa voglia di giustizia che le impediva di difendere ad oltranza i suoi clienti, pur riconoscendo anche al peggiore dei criminali il diritto alla difesa.
Nessuno sospettò mai di lei, per la verità, quasi mai! Di tanto in tanto, i cieli risuonavano della voce di qualcuno che dal basso le gridava: “Ma che ti senti Dio?”. Lei rivendicava la propria posizione, il Padre temeva per lei.
In effetti, non le si poteva negare che, in ogni spinosa circostanza, trovasse il bandolo della matassa per attribuire le responsabilità a chi effettivamente le aveva, dando giustizia anche a chi l’attendeva da anni. Ma questo attirava su di lei inevitabile odio e malcontento che, però, non la scoraggiavano e di questo lei stessa si meravigliava.
I modelli cui si ispirava, non erano santi, né eroi, in effetti era anche laica; la rimozione funzionava alla grande. Quando divenne magistrato certo non poté che muoversi sulle orme di Falcone, Borsellino, del giudice Livatino o Cassarà, ma non perse mai di vista la lezione di chi non aveva messo in conto che un giorno sarebbe stato un eroe come Paolo Giaccone o Pino Puglisi; né tanto meno dimenticò le donne che con il loro sangue avevano lavato muri e pavimenti delle loro case e ancora attendevano giustizia, sorridenti nella foto conservata come una reliquia dalle inconsolabili madri.

Fu così che prese una grande decisione: avrebbe coinvolto quante più persone possibili nella sua impresa. Sì, lo avrebbe fatto. Diciamo che avrebbe iniziato una sorta di apostolato, avrebbe tentato di entrare nella mente e nei cuori della gente e di portar loro una verità laica. Di solito i magistrati non possono mettersi tanto allo scoperto, ma se lei fosse riuscita nel suo intento, non solo avrebbe educato alla giustizia, non solo avrebbe difeso la gente, ma la gente avrebbe difeso lei, di questo era certa.
Ma da dove cominciare? Cominciò dalle scuole.
Delle tante scartoffie sulla scrivania prese quelle che ritenne più urgenti. Preparò le udienze giorno e notte e nel tempo libero visitò scuola dopo scuola, liceo dopo liceo, con una resistenza che sa Iddio dove trovava!
E quindi le carceri e i convegni e facebook. Sì, perché no, anche facebook, per parlare di giustizia, ogni strada è quella giusta. Ma sentiva che non bastava, non bastava ancora.
Voleva occuparsi di donne, dalle più piccole alle più anziane: voleva ascoltarle, voleva capire, voleva offrire loro tempi e luoghi in cui non dovessero farsi largo a fatica.
Cominciò a creare gruppi, piccoli gruppi. E, un po’ alla volta, i gruppi diventarono ampi gruppi maieutici. Loro non erano più sole, lei non era più sola. Le donne la circondavano stringendosi tra loro in un abbraccio soffocante.
Una notte, stremata, si addormentò e sognò Dio che le diceva: figlia mia, è arrivata l’ora di tornare alla casa del Padre. Lei si girò sul fianco e sussurrò: lasciami qui, Padre, lasciami qui, servo più a loro che agli angeli del Paradiso.

 

Viviana Stiscia (*)

(*) Nata nel 1960, due giorni dopo Fiorello – saperlo la fa sentire più giovane – mai cresciuta, ancora in vita, sempre pronta a raccontare di questa aneddoti dolceamari, tanto veri quanto buffi. Ma anche amori, sogni, flussi di coscienza, mondi reali solo in un tempo che non c’è. Insegnante di filosofia e psicopedagogista, ma questo è soltanto ciò che fa, non ciò che è, e non ama si confondano le cose. Essere stata precaria ha forgiato la sua personalità al punto tale che ogni forma di stabilità la spaventa, tanto quanto l’anela. Madre di Alessandro, dedica a lui ogni attimo, ogni parola che, d’ora in poi, sussurrerà ai vostri occhi, se solo lo vorrete.

Foto: Viviana Stiscia fotografata da Giusy Tarantino