
Penna in Buca. Rubrica di Viviana Stiscia. Matricidio letterario
Come uccidere la propria maestra di scrittura creativa
Non ci credevo affatto. Pensavo si trattasse di una battuta o di un fraintendimento. E’ vero, mi ero distratta un attimo, ma non poteva esser vera quella consegna: “Come uccidereste la vostra maestra di scrittura creativa”. Una donna mite, nella sua risoluta personalità, appena conosciuta da un improbabile gruppo formato da persone sane di mente, tutto sommato.
Eppure, nessuno aveva battuto ciglio. Tutti lì a memorizzarla, quella consegna, quasi non stessero aspettando altro. Non ci pensavo affatto a rispettarla, macché. Il solo pensiero di compiere questo matricidio letterario avrebbe generato in me la più insostenibile angoscia. Una riedizione di relazioni affettive dell’infanzia, consapevolmente vissuta, avrebbe potuto uccidermi. E fu così che mi lanciai sulla seconda - molto più abbordabile - consegna, che pure quella in quanto a “riedizione emotiva” non scherzava, ma non funerea, almeno quello no.
Ben presto, cominciarono a circolare questi romanzi brevi. Avevano scritto. Avevano scritto davvero! Alcune con una dovizie di particolari, nella costruzione di un alibi o di un movente, tali che un serial killer, a confronto, sarebbe apparso un principiante. In realtà, moventi, la maggior parte di noi, non poteva averne. L’avevamo incontrata una volta soltanto, la poverina. Forse la sua amica d’infanzia? Vecchie ruggini adolescenziali, magari un ragazzotto conteso, chissà? Ma per il resto?
Il solo cui riuscivo a riconoscere un, seppur minimo, movente era lui: l’unico maschio della brigata. La frustrazione di esser solo entro un covo di vipere - quelle in cui ci saremmo, di lì a poco, trasformate - tutte femmine e lui, abilissimo scrittore ed intellettuale sopraffino, proprio lui il prescelto. Lui, il dotto, messo lì a scrivere, sotto dettatura della maestra, le nostre insulse parole. Lui, il sapiente, relegato ad un ruolo subordinato e tradizionalmente femminile: il segretario. E che piglio nel tono dell’insegnante. Chissà quanto rancore in quel saggio!
Ecco: l’identikit del perfetto assassino, lo avrei visto solo in lui.
Anche l’aspetto fisico lo suggeriva: esile, non molto alto, un po’ più che stempiato, in abiti eleganti quasi retrò, come gli occhiali d’altronde, rigorosamente in duplice paio, ché i suoi occhi poggiano più sul mondo di carta che su quello vero. Tra una parola dettata ed un’altra, avrebbe avuto tutto il tempo ed il risentimento per meditarlo quell’assassinio. E, in quanto alle tecniche da adottare, non avrebbe avuto che l’imbarazzo della scelta: forse già a otto anni leggeva i gialli di Agatha Christie, mentre, in bilico sul water, si teneva aggiornato con Cosmopolitan.
Mi sembra di vederlo:
L’occasione giusta, finalmente. Il tempo è giunto ed anche il luogo gli sembra il più adatto. Sbarazzarsi di un’intellettuale rivale e sotto sua stessa indicazione: quale migliore occasione?
L’avvelenamento gli sarà apparso lo strumento ideale. Un intellettuale non si sporcherebbe mai le mani, come un volgare assassino. Per un attimo avrà pensato a “Il nome della Rosa”. Quelle sì son morti degne della letteratura. Ma, giammai plagerebbe Umberto Eco. La sua serietà e l’orgoglio intellettuale glielo impediscono di certo. Cosa potrebbe intingere nel veleno per topi? Quel veleno residuo dell’ultimo sterminio estivo attraverso il quale sfoga, puntualmente, la sua latente aggressività.
D’un tratto una lampadina, più luminescente delle solide, dà chiarore ai suoi lugubri progetti, proprio nel momento in cui l’insegnante si interrompe e stringe tra le labbra l’astina destra degli occhiali. Sarà un vezzo? Sarà un’abitudine? Qualsiasi cosa sia, è la migliore delle occasioni possibili!
E così, al prossimo incontro, dopo avere offerto, con la galanteria di sempre, caramelle a tutte le signore - innocue caramelle, si capisce – solo perché la malcapitata non avverta il sapore del tradimento, attenderà il fatidico momento che, puntualmente, si presenterà. E a nulla varranno i ripetuti massaggi cardiaci, le respirazioni artificiali da parte delle due rianimatrici presenti. La maestra di scrittura rimarrà al suolo, morta stecchita.
Oddio, ma che cosa diavolo sto facendo? Cosa ho scritto? Le mie mani si sono raggelate, mentre tremo e il respiro si strozza in gola. Ho meditato un assassinio. Io sono stata? Lui è innocente, ho soltanto proiettato su di lui la mia rabbia e la mia aggressività!
Mi sento soffocare, non respiro e sono sola in casa. Ho anche scaricato il cellulare con le mie amiche. Sto sempre al telefono io!
Le mie amiche? Aspetta una attimo. Ma da stamattina ricevo telefonate solo dalle compagne del laboratorio. Mi hanno intrattenuta al telefono anche mentre facevo la doccia. E ancora per strada e di nuovo a casa. Oddio, forse ho capito. Ma certo che ho capito. Lo dicevo io che non poteva esser quella la consegna. Oggi io ho meditato un femminicidio. Ho cercato un alibi facendo ricadere ogni colpa su un innocente. E proprio al primo incontro, l’avevo detto che il mio cuore non poteva sopportare forti stress! Certo che ho capito. La consegna vera era: “Come uccidere una scrittrice-figlia, chiedendole di uccidere una scrittrice-madre”.
Ma, a questo punto, tocca a loro scrivere. Io faccio la morta.
Viviana Stiscia

