
Pasqua Lenta
Pasqua di pasticcieri, panificatori, chef, scrittori, ascoltatori seriali di vecchia musica, esperti di archivistica della memoria, umoristi, complottisti, nevrotici di pulizia.
Lenta..mente, serena...mente. Queste festività sono arrivate in un tempo speciale ed hanno rosicchiato i margini della nostra vita senza caricarsi troppo di aspettative. Sono festività particolari ed assomigliano alle utopie deboli, ad una esperienza dell’avvento che alla fine non può funzionare, almeno non nella sfera sociale, perché siamo stati privati del rito collettivo e degli elementi di coesione tipici della festività. Molti penseranno che la Pasqua, non avendo bisogno di elementi esteriori, rappresenti un tipo di attesa che non muta significato e valore, un tempo Assoluto che supera il meccanismo delle cose che ci possono capitare. Può anche darsi.
A me sembra una Pasqua debole, precaria, leggera come le nostre speranze. Questa esperienza della debolezza non dovrebbe riguardare i pensieri, i sogni, i valori, le credenze e, men si dica le utopie, che sono sempre forti. Pasqua distopica.
Questa Pasqua l’abbiamo coltivata come il nostro piccolo orto, ce ne siamo presi cura e l’abbiamo accarezzata facendo attenzione a non esagerare con l’idea che presto saremmo usciti al sole, organizzato pranzi sociali di primavera, gite fuori porta. L’immagine degli italiani che vogliono a tutti i costi organizzare una scampagnata non è esaustiva di tutte le sensibilità. Molti di noi non hanno pensato affatto ai barbecue della pasquetta ed hanno vissuto dentro le loro stanze in silenzio, educati, sofferenti, dedicandosi ad attività che potevano assicurare una sostenibilità esistenziale. In questo ultimo senso possiamo considerarla una Pasqua ecologica, non consumistica e non compulsiva. Certo nel settore turistico si perderanno milioni di euro. Pasqua come Recessione.
In ogni caso è arrivata, da lontano, come un panfilo antico, carica di storia e di promesse, a vela e con i motori spenti, annebbiata e strabica. Credo che alla fine non ci abbia tradito, sin dall'inizio ha mantenuto ogni promessa. Pasqua di parola, rigeneratrice. Un tempo di rinascita per chi crede, di recupero delle forze per gli altri, un prima e un dopo in mezzo alla crisi pandemica. Per tanti non è cambiato nulla perché i numeri ballerini non fanno il loro dovere e non si abbassano. Pasqua spartiacque di promesse mancate, pasqua carica di dolore, troppo. Pasqua senza Resurrezione.
Una delle prime cose che mi hanno insegnato quando ho frequentato i primi corsi di filosofia riguardava la differenza con la matematica. La filosofia ha a che fare con l’esistenza, la matematica no, si nutre di relazioni tra ordini numerici che potrebbero non corrispondere agli oggetti, anzi se ne fregano proprio e ne possono fare a meno. La matematica non è reale anche se il comitato tecnico scientifico che ispira l’azione del governo non sarebbe affatto d’accordo, al punto che le politiche sanitarie che oggi alimentano i decreti, potremmo dire insieme a loro, mangiano numeri a colazione, a pranzo e a cena.
I numeri oggi ci permettono di leggere la realtà, la traducono in azioni concrete di tutela della nostra salute. I numeri però alimentano anche sentimenti negativi che sono reali, inducono uno stato di paura e di angoscia, stati emotivi concreti che ci fanno pensare, sorridere, piangere, desiderare di rivedere quanto prima compagni, fidanzati, nipoti, genitori, figli, amici.
Pasqua di pasticcieri, panificatori, chef, scrittori, ascoltatori seriali di vecchia musica, esperti di archivistica della memoria, umoristi, complottisti, nevrotici di pulizia. Se la matematica ha a che fare adesso con la realtà la filosofia, la letteratura, la musica, la fotografia, la pittura a cosa servono?
Sono più importanti dei numeri, sono la nostra prima natura, la nostra realtà più profonda che non si fa misurare, la parte più operosa che poi ci spinge a fare tutto quello che fa parte della nostra quotidianità: dal lavarsi le mani al sesso, dal preparare la carbonara ad assumere un protettore gastrico, dalla telefonata all’amico all’incazzatura con il datore di lavoro, discutere e abbracciare i figli, odiare il condominio. Tutto, proprio tutto.
Per queste ragioni credo che le nostre stanze assomiglino a dei grandi templi, monumentali, spazi infiniti di sacralità anarchica (forse è una contraddizione!), luoghi di culto senza rito, in cui le regole le decidiamo di volta in volta purché ci facciano stare bene. Pasqua come fuga, evasione dalla realtà, come un piccolo e virtuoso esercito che combatte con successo contro la viltà dei numeri. Buona Pasqua.

