MENU ×
Minchia che luminaria

Minchia che luminaria

La luminaria MINCHIA  in una città sporca e abusata da molti palermitani diventa il paradigma del linguaggio ordinario, fresco e cinico come ci piace essere

La luminaria di Via Alloro è certo la più fotografata della città. Recita a grandi lettere MINCHIA e si è incollata al cielo tra i due edifici più moderni, a ridosso di una piccola chiesa e prossima allo spazio virtuoso del Giardino dei Giusti.
Nonostante la pioggia del primo temporale autunnale di stasera la luminaria rende i suoi servigi e stimola la curiosità dei turisti che conoscono e declamano l’espressione con una familiarità commovente.

Il lessico palermitano può risultare rozzo, nauseabondo e barocco ma in questo caso non indigna e non infastidisce. La sua irruenza emotiva è poca cosa rispetto ai fuochi che sparano in occasione delle feste rionali alla fine delle processioni, di notte quando i nostri pelosi dormono e si svegliano cercando lo sguardo dei loro padroncini. Migliaia di euro in fumo per salutare la madonna o il santo locale su cui si proiettano tutti i gratta e vinci giocati, la disperazione, i toni sprezzanti verso la legalità e ogni forma piccola di cambiamento delle confraternite che vivono tutto l’anno per ratificare la loro essenza. I botti potenti dei fuochi assicurano un futuro senza tempo a queste antiche realtà che vivono a margine delle istituzioni ecclesiali assicurandone cibo e sopravvivenza popolare. Sono fotograficamente interessanti ma sono le entità fantasma di un popolo che non esiste più, che nei cerimoniali tramanda un attaccamento infantile e morboso alla tradizione ed alla gerarchia, senza avere assimilato alcuna esperienza democratica e civile.

E allora la luminaria MINCHIA  in una città sporca e abusata da molti palermitani, che stenta a valicare le sue stesse mura, che mangia a sbafo, organizza festival e rigurgita costantemente giudizi improvvisati su Manifesta 12, viaggia solo lentamente, cerca il suo viceré, incapace com’è di emanciparsi dal suo sindaco storico, abituata ad essere assistita e rassicurata, assume una forza metafisica, diventa una porta, un altro ingresso, un modo strutturale di ristabilire il senso estremo di Palermo, la sua decadenza, con un tono creativo e con la freschezza di una parola ordinaria.

Femminile nel genere, universale e globale nel tono.