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La malattia delle stazioni: portatori sani di viaggi in treno

La malattia delle stazioni: portatori sani di viaggi in treno

Perché le stazioni esercitano un grande fascino? Forse perché siamo stanziali anche se amiamo i sogni e tendiamo a fuggire dalla realtà.  

Le stazioni popolano l’arte da sempre, praticamente da quando sono stati inventate le linee ferroviarie. Hanno un forte impatto visivo e stimolano l’immaginazione, soprattutto quando sono vuote e abbandonate.

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Credo che ciascuno di noi sia portatore sano di viaggi in treno, una specie di malattia che coltiviamo e teniamo sotto controllo, almeno finché ne siamo capaci. E una patologia che ha a che fare con la nostra ordinarietà e Freud la collocherebbe con buona pace tra le sue psicopatologie della vita quotidiana.

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Le stazioni rappresentano uno spazio interno di difformità, in aperto conflitto con la nostra capacità di progettare e pianificare. E' come se il nostro tempo materiale si fosse pressoché fissato sui luoghi che il lavoro, gli affetti, i viaggi e il tempo libero ci rendono familiari e riconoscibili. Lo spazio deve potere essere riconosciuto in qualsiasi momento e non può procurarci alcuna vertigine o sentimento di estraneità. Se dovesse accadere dentro il ciclo ordinario delle nostre azioni finiremmo dentro i sintomi della precarietà esistenziale o sul lettino di un terapeuta.  

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Dalla stazione Zucco-Montelepre, a 30 chilometri circa da Palermo, sono passato in auto diverse volte. Se vuoi raggiungere Borgo Parrini devi transitare obbligatoriamente da questo budello di strada provinciale. Il fondo è sconnesso e pieno di buche, con un saliscendi che per qualche secondo impedisce la vista; poi recuperando una parziale visibilità passi sopra un ponticello e sull’ennesima discesa alla tua sinistra, come in una fiaba noir, si staglia la minuscola stazione.  

E’ un luogo insolito che si adagia dentro una cornice interessante soprattutto sotto l’aspetto del paesaggio agreste. Essendo però deserta ed abbandonata si presenta anche come un posto senza tempo.  

Ma perché le vecchie stazioni abbandonate esercitano un forte fascino?

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Senza scomodare la sociologia dei non luoghi credo che dentro la nostra vita psichica rappresentino l’evoluzione di vecchi archetipi come la fuga, l’evasione, il tradimento, il viaggio, la maturità.

Le stazioni, in qualche misura, le portiamo dentro di noi. Quando ne incontriamo una è facile che si risveglino sentimenti assopiti, pensieri che avevamo tenuto sotto controllo perché la nostra vita, così come collettivamente l’abbiamo pensata, funziona prevalentemente quando non consente fughe in avanti, interruzioni, destinazioni aperte, viaggi pericolosi. 

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Se vi capita di passare da quelle parti fermatevi e percorrete la linea ferrata sino a raggiungere il lunghissimo ponte di ferro, alto su un torrente. Non guardate giù, oppure fatelo ma poi tornate indietro lasciando alla vostra immaginazione ciò che si potrebbe dare dall’altra parte.

Testo e Foto di Carlo Baiamonte  - All Right Reserved