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La grande attesa. Penna in buca. Rubrica a cura di Viviana Stiscia

La grande attesa. Penna in buca. Rubrica a cura di Viviana Stiscia

Nota della redazione

Il racconto breve, qui di seguito pubblicato, fa parte di una piccola collana esito di un laboratorio di scrittura creativa nato da un’idea di Giorgio D’Amato e tenutosi tra ottobre 2016 ed aprile 2017.

Tema degli incontri il dolore e, più specificamente, il dolore delle pazienti fibromialgiche. La narrazione delle proprie esperienze  - in quanto pazienti, ma anche personale medico quali la Dott.ssa Monica Sapio o di supporto psicologico alle stesse - attraverso una chiave di lettura spesso ironica, ha svolto un’ eccellente funzione catartica e, contemporaneamente,  permette al lettore di entrare nel mondo del dolore  a passo lieve. 

 

Noi donne siamo di vario tipo: c’è il bel tipo, c’è il tipo ideale e ci sono quelle che, come me, rispecchiano lo stereo-tipo della donna.

Ogni pregiudizio che tradizionalmente ricade sulle donne io me lo merito almeno un po’, ma soprattutto vale per me quanto sostengono in tanti: io sono invidiosa delle altre donne! Ma la mia invidia travalica i confini del comprensibile: io invidio ogni altrui sorte.

D’altronde, me ne sia dato atto, le mie amiche hanno tante cose in più di me che io vorrei e tante cose in meno cui rinuncerei volentieri, se solo potessi: loro tanti centimetri in più e tanti chili in meno; loro un partner che amano anche se “scarrafone” e che, soprattutto, le ricambia e, pertanto, un bel paio di corna in meno; loro un magnifico brillante all’anulare sinistro, io un punto luce sorretto da un filo d’oro talmente sottile che l’ho presentato come il regalo di comunione da parte di Zia Caterina assottigliato dall’orafo nel tentativo di adattarlo alla mia mano adulta.

Ma ciò che invidio loro innanzi ad ogni cosa sa dell’incredibile e fu il mio analista ad invitarmi a rifletterci, quando mi disse: “Signora, io l’ascolto ormai da diversi anni, e sono giunto ad una conclusione: se dovessi coniare un termine per indicare la sua patologia sceglierei “ipercondria”. Lei, al contrario dell’ipocondriaco, non si preoccupa costantemente di poter perdere la sua salute, piuttosto spera che ciò avvenga e al più presto! Io mi ritengo un professionista serio, pertanto, non intendo spillarle denaro inutilmente e le consiglio di cercare altrove di ammalarsi. In questa casa non potrà contrarre neanche una allergia da acaro della polvere perché mia moglie ha la mania della pulizia e dell’igiene. Esca fuori, frequenti scuole, faccia volontariato negli ospedali, al limite vada missionaria in Africa, lì qualcosa se la beccherà, che diamine! Da parte mia, mi sento la coscienza apposto, non sono un medico devo preoccuparmi della sua psiche, del suo corpo – mi scusi la volgarità -se la fottano i medici.”. Sul momento gli scoppiai a ridere in faccia, ma giunta a casa cominciai a rimuginare sulle sue parole giungendo alla medesima conclusione.

Tutte le mie amiche soffrono di qualcosa: artrosi, emicrania costante, ricorrenti mal di denti o di orecchie, pollice a scatto, gastrite cronica erosiva.  Tante tra loro sono soggetti allergici – e ci rompono i cabbasisi se usi il deodorante o se regali loro un mazzo di fiori mettendoteli sul balcone, tanto vale sbatterteli in faccia! - per non parlare delle celiache che vanno tanto di moda.

Ed io? Sempre l’ultima ruota del carro? E che cazzo!!! Ora no, deve finire questa disparità! Pretendo pari opportunità di malattia. Anzi, dirò di più, almeno in questo voglio avere il primato su di loro.

Ma quali malanni da quattro soldi e cinque giorni di antibiotico: ne voglio uno serio, che le faccia arrossire per avermi rotto i coglioni in tutti questi anni con le loro paturnie. Voglio essere compatita, sì compatita; voglio le visite di amici e parenti in ospedale; voglio essere esonerata dal servizio tutte le volte che serve e dagli scoccianti incontri con rompiballe tutte le volte che voglio!

Ahi, ahi ahi ahi! E cos’è questo? Mamma mia, ma c’è qualcosa che mi ronza intorno come una zanzara molesta. Devo prenderla, subito. Credo sia giunto il momento tanto atteso. Sì, è proprio lui, il Mio male, quello che nessuno potrà portarmi via finché io non lo vorrò. Ecco l’ho chiuso in un pugno. Adesso devo trovare un contenitore, un barattolo, qualcosa dove conservarlo al sicuro ed impedirgli di lasciarmi per raggiungere, magari, qualcuna delle mie amiche. Ecco, trovato, lo conserverò in una scatola: la mia scatola cranica. Quale posto più sicuro in cui conservarlo?

Adesso stai lì, ma datti da fare, mi raccomando, non ti ho atteso invano per anni. Da questa posizione di prestigio cui ti ho assegnato puoi dominare il mio corpo e la mia mente. Il mio cervello, il mio cuore, i miei arti. Scuotimi, fammi sentire la tua presenza, strapazzami, forse ne ho davvero bisogno. Mi farai male, ma salirò sul podio!   

Viviana Stiscia  - Tutti i diritti riservati*