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La fotografia nelle stanze dell’inverosimile

La fotografia nelle stanze dell’inverosimile

L’idea di costruire un tour virtuale per raccontare la comune quarantena attraverso l’occhio delle nostre  macchine fotografiche nasce dentro l’impegno dell’Associazione Lympha, promotrice del Festival delle Filosofie di Palermo, giunto nel 2020 alla 3^ Edizione. Al tempo del Coronavirus la filosofia non può smettere di interrogarsi, in prima linea, per una comprensione di quanto sta accadendo, dentro una prospettiva in cui poterci confrontare sul bene comune, senza il desiderio compulsivo di dovere per forza di cose assolvere o condannare qualcuno o qualcosa.

"E’ verosimile che accada l’inverosimile" è il titolo della Rassegna on line che si è svolta in questa difficile fase esistenziale. In tempo di Covid 19 intratteniamo una relazione con la verità fin troppo umana e interessata. Abbiamo scelto quindi i sentieri della filosofia e della fotografia.

L’arte e la filosofia sono espressioni delle attività umane molto vicine, costruiscono ponti indistruttibili e relazioni tra epoche lontane, segnano il tempo lasciando tracce visibili nel mondo materiale.

L’arte al tempo del Covid-19 diventa anche testimonianza umana, personale e corale, documento storico che a distanza di tempo sarà interessante consultare.

In questa direzione si vuole sperimentare la relazione e la commistione del discorsivo e delle immagini. La fotografia condivide con la filosofia lo sguardo, inteso come dono nei confronti dell’altro. Uno sguardo carico di reciprocità, che all’atto stesso del click, mentre cattura un pezzo di realtà e la trascende su un piano ideale ci espone all’osservazione dell’altro, ci “comprende” o”ri-comprende”, dentro un senso nuovo di relazione.

“Fuori. Memorie dalla quarantena” è il progetto di un collettivo di fotografia, una reazione costruttiva alla viralità del Covid-19, che si ispira ai sentimenti fugaci, tipici dei piccoli moti dell’arte.

La maggior parte delle donne e degli uomini, interrompendo ogni attività lavorativa e sociale, da quasi due mesi si aggirano come viandanti nelle stanze delle loro case, assediati da un nemico che stanno ancora imparando a conoscere e che hanno smesso di considerare invisibile.

La casa è diventata il nostro mondo, uno spazio vitale e necessario di convivenza e di sussistenza, recupero della memoria e di energie dimenticate, platea di contatti mirati con l’esterno ma anche terreno di conflitto animato dalle prescrizioni e dai divieti.

La casa è il nostro orizzonte coltivato di speranze, un laboratorio di costruzione, interpretazione e ripensamento dei valori. La casa è l’unico spazio non sorvegliato.

La casa è il nostro rifugio da un pericolo che rimane “fuori”, che si avvale delle prescrizioni che imbrigliano la nostra vitalità, della sorveglianza statale e burocratica. Nella nostra casa siamo liberi ed esercitiamo una cittadinanza fatta di sogni e desideri.

Il “fuori” è un’idea del mondo ma anche di noi stessi, è il paradigma concettuale di una relazione con la rappresentazione esterna della nostra vita che al momento si preannuncia impossibile. Certo presto dovremo ripartire. Dalla casa, come negli approdi che ci riparano dalla tempesta, riprenderemo il mare.
Il fuori che rubiamo, sostando dentro le nostre stanze, è  interrotto, carico di sofferenza umana, distopico, rischioso e non praticabile.

Il tour fotografico virtuale coinvolge 46 autori, ognuno dei quali propone la sua casa, il suo sguardo.
 

Ringraziamo per il sostegno al progetto Lions Club Palermo Federico II, Edizioni Ex Libris di Carlo Guidotti, Libertalia Radio
Carlo Baiamonte (Responsabile Fotografia Associazione Lympha- Festival delle Filosofie)

 

Autori: Lorella Aiosa, Maria Patrizia Allotta, Alessandro Amantia, Carlo Baiamonte, Gregorio Bertolini, Patrizia Emanuela Bognanni, Francesca Busalacchi, Valentina Brancaforte, Pietro Calabrese, Francesca Calandrelli, Filomena Callari, Paola Campanella, Giusi Caradonna, Alessandro Chiolo, Zino Citelli, Giada Clemente, Toti Clemente, Max D’Alessandro, Ester Di Bona, Gigi Dalli Cardillo,  Tiziana DiPietro, Marco Giacalone, Valentina Gueci, Bruno Ingrasciotta, Antonio La Colla, Maurizio Lo Bianco, Claudia Lombardo, Michele Lombardo, Pietro Longo, Giovanni Mannarano, Vincenzo Martegani, Daniela Martino, Simona Merlino, Salvo Monachello, Vincenzo Montalbano, Marcello Mussolin, Giusy Nicolosi, Piera Palermo, Nino Pillitteri, Martina Polito, Chiara Salamone, Vincenzo Sapienza, Giusy Tarantino, Enzo Triglia, Laura Tumbarello, Maria Elena Vindigni.


 

Stare Fuori di Teresa Gammauta (Scrittrice)


La parola esistenza deriva dal latino ex-sistere = stare fuori.

L’esperienza del “fuori” inizia con il primo istante di vita, col primo traumatico respiro polmonare, col primo urlo che si traduce in pianto.

Nascere è essenzialmente un approdare all’esterno, un venir fuori.

Ed è fuori che noi viviamo.

Non ci è dato di vivere dentro alle cose, neppure dentro noi stessi a pensarci bene e avvertiamo come “esteriore” persino il nostro corpo.

“Fuori” è la  nostra dimensione, il nostro spazio

Tutto è fuori, il mondo è fuori, gli altri sono fuori.

La quarantena, simbolicamente, ce ne ha privato.

Ci ha tolto il “fuori”.

Ci ha costretti in un “dentro” chiuso e smisurato insieme dove vaghiamo frastornati, confusi.

Contiamo i giorni ma il tempo non ha cadenza, non sembra tempo, è come una sconfinata plaga dell’anima.

L’alba e il tramonto non si somigliano eppure si confondono.

Da dentro guardiamo fuori e ci sentiamo isole tidali in attesa della bassa marea.

Le finestre lasciano entrare odori che ci sembra di non aver mai sentito prima.

Il cielo ha gradazioni di blu che non ricordavamo.

Le strade ansimano rumori e voci sconosciute.

Stare “dentro” ha amplificato la nostra capacità di percezione del “fuori”.

Chissà come guarderemo la realtà quando tutto questo sarà passato.

Chissà se ne coglieremo ancora le infinite sfumature o se torneremo a essere ciechi dietro i nostri occhiali da sole.

Usciremo ancora a riempire le vie e le piazze, quando la quarantena finirà.

Torneremo fuori.

Ri-nasceremo.


 

I bambini dimenticati di Girolamo Di Giovanni (Psicoterapeuta)

Che fine hanno fatto i bambini? Perchè nessuno pensa ai bambini? Cosa passa per la testa dei bambini? Tutto il dibattito si è incentrato sulla mancanza di norme che li riguardassero, alimentando il disappunto di una parte della popolazione che ha sentito in queste “assenze” una totale mancanza di pensiero sull'infanzia.

Ma la vera questione, quella che ci consente di non perderli ancora una volta di vista, riguarda la qualità della vita dei bambini durante questa pandemia: gli esiti di questa permanenza in casa non saranno per tutti uguali,  perchè diverse sono le condizioni in cui ciascuno cresce.

La casa può essere stata, allo stesso tempo, un caldo rifugio, una fredda prigione o, nei casi più duri, un luogo di profonda sofferenza.

E  può forse bastare parlare esclusivamente dei bambini in casa con i genitori? E quelli che vivono in comunità? Quelli che sono affidati ad altre famiglie? Quelli abbandonati da chiunque perfino dai servizi territoriali?

Per comprendere realmente cosa sia successo ai bambini in questi giorni, se davvero ne saremo interessati, occorrerà chiederlo ad ognuno di loro.


La vertigine della lista al tempo del Covid-19 di Mariella Spagnolo (Vicepresidente Associazione Lympha)

Dar voce alle emozioni senza attendere che esse abbiano trovato modo e tempo di lasciarsi definire, farle fluire e condividerle immediatamente, credo sia stato uno degli aspetti che più ha caratterizzato questo imprevisto momento di isolamento in cui siamo stati costretti a vivere. Chiusi nelle nostre case, come l’Alice di Carrol, abbiamo avuto l’impressione di crescere a dismisura tanto da sentire le pareti aderire alla nostra pelle e la testa urtare il soffitto. O forse no. Al contrario, ci siamo rimpiccioliti così da vederci sopraffatti dagli oggetti che banalmente popolano le nostre frenetiche giornate.

Padroni del pianeta, ora privati della libertà di movimento, abbiamo faticato a posare i nostri sguardi con lenta ripetitività sulle domestiche ragnatele, sul biancore asettico degli arredi scandinavi, sulle trascurate crepe che adesso rischiano di essere quelle della nostra anima. Anima, che adagiata accanto a noi, cerca pose diverse, ci parla attraverso le mani di un figlio, le rughe del compagno, le fusa di un gatto, la solitudine scelta o subita per una qualche distrazione.

Così ci siamo sentiti defraudati del tempo assieme alla nostra libertà; un tempo sottratto, ma forse sospinti dall’invito di Seneca all’amico Lucilio-Vindica te tibi!- e  strappati all’horror vacui  delle nostre vite, giocheremo a dilatarlo, questo tempo, nel quale fioriscono  pensieri, nascono passioni e paure; un tempo del caos- quello di Empledocle- nascosto negli anfratti paurosi dei ricordi, nei cassetti non più aperti, nei sorrisi sfuggiti o perduti.

Vivremo anche noi, in una Macondo personale, la terribile esperienza della peste dell’insonnia? Intendo, con questo, quel malanno che si porta via i ricordi e ci costringe a nominare gli oggetti d’uso ordinario fotografandoli con furia sistematica, così come si illudeva di fare il vecchio Josè Arcadio Buendìa. Tutta una lista, il nome delle cose: gli attimi unici, i desideri intrappolati nell’inchiostro nel quale guazzano dimentichi, la nostalgia di  un amore tessuto nelle fibre di una sciarpa, l’innocente timore del dolore  tra le ciglia di un bambino, l’incoffessabile invidia di baci sfrenati, l’estasi di una carezza del sole, il bisogno di legarsi a qualcuno, che preme contro vetro con lacrime di pioggia. “Ce ne ricorderemo di questo pianeta”: dovremmo anche noi ripeterlo, avvolti nella rete delle metafore che ci offrono sempre nuove vie di fuga dal duro suono della parola morte, o balsamiche distrazioni. Nella penombra cerchiamo gli insicuri gradini di una scala a chiocciola di cui intuiamo gli angoli infidi, e che non permette la discesa. Non facciamo che accumulare nelle tane (o trappole?) che ci accolgono e isolano, nuovi slogan a definire i mille fotogrammi in cui sfogliamo il nostro presente. Un qui e ora che continuamente frantumiamo per meglio vederlo. O forse semplicemente per annientarlo, in attesa che nuovi giorni immemori, scrivano glosse a fragili frammenti che il Tempo ha fissato, sul muro scalcinato del nostro esistere, con puntine riusate.