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La crisi della scuola e la pandemia. Vademecum per rinunciare alla comfort zone

La crisi della scuola e la pandemia. Vademecum per rinunciare alla comfort zone

La scuola assomiglia ad un mattatoio in cui dialogo e conflitto rappresentano la condizione limite, le parole più usate e abusate per rappresentare quanto accade nel sistema dell'istruzione

La crisi e la scuola

La scuola da sempre conosce momenti di crisi. Anzi la crisi, dalle parti della scuola, è una parola d’ordine che si pronuncia quotidianamente e fa parte integrante delle pratiche di relazione. Sul tema c’è una letteratura ampia e tra i contributi degli studiosi mi viene in mente il saggio di Miguel Benasayag e Gèrard Schimt, “L’epoca delle passioni tristi”, un testo che considero la bibbia della crisi intergenerazionale, un vademecum in cui la crisi non costituisce un evento straordinario ma viene assunta come paradigma normale per comprendere quanto sta accadendo dentro i sistemi educativi.

La pandemia, come ho avuto modo di esprimere in altri commenti, è una lente di ingrandimento, un repertorio di fotografie macro che con una nitidezza straordinaria ci consentono di vedere dettagli che c’erano già ma si confondevano e nascondevano nel paesaggio. Prendo sempre in prestito la fotografia per rappresentare la crisi della scuola prima della pandemia, come quel paesaggio urbano ricco di elementi che presenta quel difetto conosciuto come aberrazione cromatica. Nei casi più gravi l’aberrazione produce immagini distorte, con forme geometriche diverse rispetto agli oggetti reali, sfumate nei contorni in modo che un oggetto sconfini nell’altro alterando la percezione.

La scuola, come le immagini con aberrazione cromatica, spesso presenta questo tipo di difficoltà intrinseca che ostacola l’analisi dei fattori-chiave che l’hanno posta in crisi. La ricerca pedagogica che, fortunatamente, nel nostro paese vanta una grande tradizione e svolge i suoi compiti in maniera certosina, rimane lontana dal dibattito pubblico sulla scuola. Quest'ultimo rimane ostaggio dei genitori ansiosi e rancorosi, dei modelli efficientisti in cui conta la prestazione dei figli e la soddisfazione dell’ego, degli insegnanti in burnout che guardano il sistema di istruzione senza mettere il naso fuori dalle pareti della loro piccola istituzione scolastica o del loro sindacato.

La scuola che accade ogni giorno in ogni parte del nostro paese non corrisponde alla scuola percepita, alla scuola delle notizie e della discussione pubblica, alimentata dal botta e risposta dell’ex ministra con le parti sociali. Il tema di questi giorni, dentro la crisi pandemica della scuola, è ancora il rapporto difficile tra la scuola effettuale e l’opinione pubblica.
 

La scuola funziona?  

Nella maggior parte dei casi la scuola è caratterizzata da un ambiente sufficientemente sano e costruttivo, con una buona abitudine al confronto di chi ci lavora, una macchina efficiente, anzi una nave da crociera, una di quelle città galleggianti che imbarcano tutti ed erogano servizi che ottengono un gradimento accettabile. Penso alle navi da crociera perché la scuola ha dovuto imparare le nozioni base del marketing, ha dovuto vendere la propria offerta formativa e stare nel mercato, connettersi con le realtà aziendali per i PCTO, la vecchia alternanza scuola-lavoro. Le scuole hanno imparato a convivere con il deficit strutturale del sistema, si sono auto-addestrate a nascondere/omettere inevitabili inadempienze alle quali non potevano trovare soluzioni che non fossero l'investimento nella relazione umana tra alunni, docenti e famiglie.

Nella maggior parte dei casi ciò che accade dentro le scuole mostra che il dialogo tra le parti funziona, che si riconoscono nel ruolo sociale e nei compiti. Pur rappresentando interessi diversi, genitori, docenti e decisori sviluppano una discorsività omogenea, una forma di bene comune che si esprime nell' accessibilità del servizio pubblico. Tutto ciò accadeva però prima della pandemia, prima che la scuola superiore chiudesse i battenti per la prima volta sull’intero territorio nazionale, una trauma di prima mano che la collettività non ha ancora interiorizzato.
     

La Scuola-Mattatoio e la pandemia

La crisi della scuola che si amplifica nella scuola percepita esiste ed è pervasiva. Coinvolge la categoria professionale dei docenti, gli adolescenti, i valori, la famiglia, la relazione intergenerazionale. La scuola assomiglia ad un mattatoio in cui dialogo e conflitto rappresentano la condizione limite, le parole più usate e abusate per rappresentare quanto accade nel sistema. L’immagine del mattatoio non può prescindere dalla presenza di uno o più soggetti da sacrificare. Il sacrificio si avvicenda nei ruoli: una volta sono gli alunni, una volta i genitori, a volte i dirigenti, spessissimo i docenti e i ministri. Quasi mai sono i media che non sono capaci di sacrificare il traffico e i click in nome della buona informazione sulla scuola.

Nel mattatoio il conflitto è annientato e regolato dal sistema e dalle misure burocratiche ma noi sappiamo che il conflitto nel sistema delle relazioni umane, in quanto luogo percepito, richiede la presenza di parti diverse e di un capro espiatorio. Il conflitto per quanto normativizzato, in un luogo come la scuola, esplode e non può essere evitato, anzi va invece intrapresa un’azione per contenerlo e superarlo. I docenti sono diventati bravissimi a gestire il conflitto in un ambiente fortemente burocratizzato qual è quello della scuola italiana. Oggi la pandemia costituisce per tutti l’opportunità di vivere le contraddizioni della scuola in tutta la loro portata, ci ha aiutati ad accendere i riflettori su questa complicata costellazione, puntare la lente di ingrandimento su tutti i dettagli della composizione.

La crisi è strutturale (altra parola abusata), il gap profondo tra le scuole del nord e le scuole del sud, i più efficienti sistemi di trasporto romagnoli e lombardi da una parte, gli autobus e i treni sgangherati del sud dall’altra. La crisi però è anche intrinseca alla trasmissione culturale e diventa crisi dei saperi. Ciascun docente dentro le proprie matrici disciplinari, se si aggiorna e rimane a contatto con la ricerca, vive la crisi dello statuto epistemologico della propria disciplina. Personalmente so che cos’è la filosofia ma nutro qualche dubbio su che cosa sia diventato oggi l’insegnamento della filosofia.

 

Tornare a scuola dentro la pandemia

Sul luogo del delitto si torna quando tutto è più tranquillo, in mare dopo che il vento è cessato, a casa dopo una dura giornata di lavoro.

La pandemia ha sconquassato il paesaggio della nostra quotidianità. Le case diventano un posto di lavoro e si riempiono di carte, il tempo di dilata, il pigiama assomiglia alla vecchia tuta dei metalmeccanici di una volta ma non ci sono più i compagni, non c’è la lotta e non c’è la fabbrica. I figli non sono più gli alunni degli altri adulti significativi e proviamo qualche difficoltà ad esprimere sentimenti di simpatia, invidia o antipatia. Le voci dei docenti diventano familiari, i compagni di classe dei nostri figli diventano i nostri figli. La scuola si trasforma in un’appendice della casa, non vi è più alcuna discontinuità spazio-temporale. La scuola non è più un luogo estraneo.

La perdita della condizione di estraneità della scuola in piena pandemia è il sintomo più pericoloso perché si attiva un meccanismo di controllo da parte dei genitori e dei loro figli che progressivamente determina una perdita di interesse verso i luoghi principali della nostra relazione educativa che dovrebbero rimanere distanziati e separati, la famiglia e la scuola.

Dicevamo della scuola effettuale e della scuola percepita. Sono due mondi diversi che l’esperienza della dad ha allontanato ulteriormente, vestendosi di atteggiamenti fortemente ideologizzati che i media hanno saputo ben amplificare, strumentalizzando la paura dei contagi e l’emotività delle famiglie. Attraverso il consolidamento della dad abbiamo costruito dentro le case una comfort zone efficace e protetta dal virus ma anche istituito un meccanismo di controllo pervasivo di cui ci libereremo con fatica, verso il quale non ci sono vaccini autorizzati e pronti all’uso.

Il ritorno alla scuola in presenza per gli adolescenti richiede probabilmente l’assunzione di un rischio che non si limita alla possibilità di contagiare o di rimanere contagiati. In questo momento gli adolescenti offriranno resistenze al rientro a scuola in presenza, anche perché nella comfort zone si sono disabituati ad una valutazione in cui il controllo, a livello prossemico, era affidato unicamente ai docenti.

Questo meccanismo di resistenza al ritorno a scuola probabilmente coinvolge anche gli adulti, i familiari e docenti. Rinunciare a quella comfort zone richiede il recupero di risorse personali, cognitive ed emotive che in questi mesi la pandemia ha messo duramente alla prova. La tolleranza, la buona vecchia tolleranza è l’unica via percorribile per recuperare un senso comunitario. Ma per far questo occorre tornare a scuola, far in modo che si riattivi quel sentimento prezioso di antipatica e benevola estraneità con la famiglia.

Carlo Baiamonte