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Il Pride di Palermo: una festa sempre appassionata nel segno dell'accoglienza

Il Pride di Palermo: una festa sempre appassionata nel segno dell'accoglienza

Il Pride è una potenza ma anche il non sense dei corpi dei musicisti costretti a suonare sui balconi di Palazzo Riso

Il Pride a Palermo è stato un successo. Il calendario della manifestazione che si è appena conclusa e, in particolare, il village gastronomico/artigianale di piazza Bologni hanno conosciuto grande flusso di partecipazione. Una città viva e in relax che si è divisa tra il live di Radio Italia, il concerto in tv di Vasco e la parata del Pride. Una Palermo intensa e riappacificata nonostante il lamento endemico degli automobilisti costretti il  venerdì mattina a passare due ore dentro l’auto con 38 gradi.
Il Pride è il Pride (punto!) e se qualche anno fa litigavo costantemente sui social con gli oppositori della manifestazione da un paio d’anni mi dileguo virtualmente perché non ne vale la pena. In genere chi offende il Pride non ha mai partecipato ad alcuna edizione. Anche se si ostina a sostenere di avere molti amici gay è tutta una finta, una dissimulazione iniziale per sparare le bordate peggiori. Spesso si tratta di persone che non trombano abbastanza ed allora occorrerebbe prima di avviare una normale dialettica costituire una premessa comune, accertare una specie di requisito: ‘Se trombi e ne vuoi parlare (del Pride, si capisce) nessun problema, ma se non trombi è inutile avviare una discussione perche ragioneresti con la testa, senza corpo, senza eros, senza spinta emotiva."
Ieri sera mi sentivo gettato nel caos, stordito dalla folla che si accalcava continuamente e c’era ovviamente chi voleva ballare a tutti i costi perché senza questa ricaduta pittoresca e aggregante del Pride, tutto diventa poca cosa, una variante della festa dell’unità con un momento carnevalesco.   

Piazza Bologni è piccola, è uno spazio estremamente ridotto per una festa dei diritti, in cui occorre sentirsi  liberi di non carpire con le narici il gusto crudo, doppio malto o commerciale della birretta che l’amico a cui davvero vuoi molto bene sta bevendo. Il Pride però nonostante qualche problema organizzativo è sempre una forza, perché si crea una specie di fratellanza e sorellanza tra mezzi sconosciuti, in cui quelli che non ci vengono alla fine sono tutti stronzi e questo si capisce subito, non c’è bisogno di dirselo.

Ieri sera piazza Bologni era davvero congestionata. Nei tentativi personali di trovare un varco per raggiungere la postazione della gelateria del Cassaro ho fatto una fatica bestiale, con lo svantaggio di dovere per forza prossemica non solo degustare le birre degli altri ma anche l’hamburger di Gira e Firria. Alla fine avevo pure fame, nonostante avessi cenato.   

L’edizione 2017 era dedicata al tema complicato ‘Il corpo: tra politica, desideri, diritti e trasformazioni.“
Una bella traccia perché il corpo viene quotidianamente sciacallato, violato, nascosto, usato, censurato, recensito, scritto, comunicato, esposto, contemplato, maltrattato.

Sul tema del corpo però un appunto all’organizzazione va fatto. In genere i corpi dei musicisti stanno sul palco. Lì trovano spazi tra loro, pieni di energia, improvvisano, si guardano in faccia, giocano con il pubblico, cambiano gli arrangiamenti e la scaletta, sudano come caproni sotto le luci e si divertono. Il pubblico li sente e diventa parte del gioco, entra in relazione, quasi sale sul palco e imbraccia gli strumenti.  Invece avete deciso che i musicisti dovevano suonare da fermi come le guardie svizzere dai balconi dei saloni del primo piano di Palazzo Riso.

Non è che diventate radical chic?

Photo: Salvo Valenti