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Il Covid-19 e la liberazione di Silvia

Il Covid-19 e la liberazione di Silvia

Non importa in questo momento esaminare le motivazioni intrinseche alla scelta di abbracciare la fede islamica, non importa quanto sia costata allo Stato la liberazione di Silvia.

Quando il clima delle opinioni è inquinato e condizionato da forti e militanti interessi dei gruppi di pressione politica può diventare difficile svolgere una riflessione sia a carattere personale che pubblico. I social sembrano funzionare come un allevamento intensivo di pollame. Ogni giorno sui grandi accadimenti che possono muovere una grande massa di opinioni si mobilitano grandi risorse professionali; perlopiù si tratta di giovani che non hanno alcuna consapevolezza deontologica, nuove leve assoldate dai politici, spesso su base ideologica, competenti negli aspetti tecnici, bravi ad orientare la polarizzazione tra buoni e cattivi, assolutori da una parte e giudici che pronunciano condanne implacabili dall'altra. Questi staff di esperti dei new media funzionano come gli antibiotici e i mangimi della dieta per i polli delle batterie. Si decide in fretta il tipo di mangime e di antibiotico, non si immunizza il pubblico anzi si vogliono abbassare le difese.

Consideriamo la stanchezza generale nel  nostro paese, uno dei più colpiti dal Covid-19, che ha fatto da avantreno per l’Europa, un clima oramai cronicizzato su numeri drammatici, sinapsi nuove e fobie vecchie quanto la notte dei tempi. Quanti deceduti al giorno a causa del coronavirus? Quanti guariti? Quanti nuovi contagiati? Quando supereremo la crisi economica?  E la riapertura? I posti in terapia intensiva saranno sufficienti? Il nord e il sud, sono un paese unitario o due storie diverse?

Sono passati settanta giorni, più di due mesi da quando il mondo si è apparentemente fermato. In realtà non ci fermiamo mai, solo mediaticamente. Questa volta i palinsesti di tutti i format sono stati interamente assimilati dalla pandemia, col suo indotto infinito di storie, testimonianze, sacrifici, dolore, sogno, utopia e distopia.
L’arte stessa, in particolare la musica, il teatro, i film che avrebbero potuto costituire una via di fuga, uno spazio per recuperare energie e superare la routine asfissiante degli aggiornamenti, un ritorno alle nostre passioni, sono stati strumentalizzati ai fini della promozione dei comportamenti ammessi all’interno dei dpcm. Una specie di grande spot-progresso animato dall’hastag  #iorestoacasa, una coralità che gradualmente si è spenta nel sentimento di depressione comune. Mai la cultura è diventata così profondamente schiava dei protocolli tecnocratici di un governo. Un tipo di esperienza che ha ridotto i margini di libertà di fruizione dell'arte e che non appartiene né alle democrazie, né all’industria culturale.


La liberazione di Silvia Romano si svolge nel giorno della Festa della mamma e in piena fase due, mentre emotivamente siamo usciti dalla nostra piccola e misera prigione e siamo proiettati verso la riconquista piena delle libertà personali. In realtà le limitazioni alle nostre libertà subite durante la quarantena non vanno sottovalutate perché, in piena civiltà di consumo individualistico e di mobilità globale, rappresentano la prima esperienza traumatica da reclusi.
Ad accogliere Silvia all’aeroporto di Ciampino ci sono i familiari, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro degli esteri Luigi Di Maio. Silvia è stata diciotto mesi ostaggio dei rapitori, non importa che non sia sottopeso e non manifesti segni di sofferenza. Provate a paragonare i diciotto mesi che hanno interrotto un percorso di volontariato e di aiuto di una ragazza di vent’anni ai nostri sessanta giorni di reclusione da covid.   
Il rientro a casa è accompagnato dal grande sorriso di Silvia che indossa una maschera antivirus ed una veste tradizionale islamica di colore verde. La vivacità cromatica, il sorriso felice e giovane, l’orgoglio paternalistico del Presidente che smette i panni del conferenziere dei No e diventa garante di una liberazione istituzionale e di Stato, la commozione dei genitori, l’abbraccio della mamma, scardinano il continuum grigio della routine filogovernativa. Nella scena quasi tutti i presenti violano il distanziamento; è inevitabile, non vi può essere alcuna preoccupazione del Covid in un momento di esplosione adrenalinica della gioia, una microtemporalità sospesa in cui nel disastro della pandemia si recupera, collettivamente, un tassello di speranza concreta e disinteressata

Non importa in questo momento esaminare le motivazioni intrinseche alla scelta di abbracciare la fede islamica, non importa quanto sia costata allo Stato la liberazione di Silvia. Chi manifesterà preoccupazione ed interesse verso questi aspetti nei primi giorni dalla liberazione di Silvia, verrà fatto a pezzi nella grancassa di opinioni perché la lettura incentrata su questi elementi fa a pugni con la cornice favolistica. La sfera in cui si stabilisce la polarizzazione tra gli haters di destra e i buonisti di sinistra, la schiera variegata degli assolutori e la fronda di chi avrebbe abbandonato Silvia al suo destino è sempre quella emotivo-sentimentale, una radicalizzazione che non aiuta l’informazione e la comprensione dei fatti.
In futuro sarà interessante comprendere l’intera vicenda, la rete di relazioni internazionali che la ong di Silvia intrattiene con le altre istituzioni, le tutele di protezione previste per la cooperante, il ruolo degli Esteri, della Turchia e di altri paesi, l’utilità della cooperazione basata su un volontarismo non contraddistinto da particolari competenze. Ma non oggi, oggi gioiamo, dentro di noi e fuori dai social.