
Baci e Abbracci al tempo del CoronaVirus
Le titubanze di questi giorni ci mettono di fronte ad un bivio. O ci sanifichiamo e salviamo la pelle o salviamo l'anima
In questi giorni mi è capitato, incrociando alcuni amici, di cogliere delle piccole titubanze nel modo di avvicinarci reciprocamente, di dover decidere in poche frazioni di secondo di salutarci baciandoci, dandoci pacche sulle spalle, sfiorandoci o piuttosto di rimanere lontani, separati, ciascuno dentro la propria pelle.
Con alcune persone incontrate ci siamo limitati ad uno ciao veloce, rimanendo chiusi e padroni del nostro spazio intimo. Come recitano i libri sulla comunicazione lo spazio intimo consiste in una forbice che va da 70 cm a 1 metro e in questi giorni siamo diventati tutti esperti di prossemica.
A dire il vero, il saluto verbale con Ciao o Buongiorno mi pare di averlo sentito in due versioni: la prima accompagnata da uno spasmo alla gola, un'emissione semimuta col sottotitolo: "Adesso che cacchio faccio, lo bacio?", la seconda accompagnata da una forma istantanea di ammutinamento del corpo che in stazione eretta assumeva le sembianze di una statua che qualcuno si apprestava a rimessare dentro un container. Andiamo però agli abbracci e ai baci in tempo di coronavirus. In alcuni casi mi sono buttato perchè, in generale, tendo ad abbracciare e baciare anche in presenza di timidezza dell'altro. In un paio di occasioni però sono rimasto rigido e non sono riuscito a modificare l'imbarazzo.
Il coronavirus è un fenomeno nuovo che ha isolato in autoquarantena migliaia di persone, massacrato la parte più razionale ma anche più spontanea del nostro io. Quando in tv si commentavano i casi di quarantena volontaria di famiglie e gruppi sociali sul viso di chi commentava si apprezzava un sentimento di orgoglio civico, frammisto a fatalismo, come se questa necessità fosse etica, giusta, efficace, unico modo per superare il momento e dare un senso alla collettività. Le notizie sul coronavirus infatti sono state date quasi sempre con tono assertorio non concedendo alcuno spazio, nemmeno emotivo, perchè lo stato d'animo si polarizzava sin dai primi secondi sul sentimento della paura. Credo di non avere mai provato una così forte antipatia verso il giornalismo e la classe politica come in questi giorni. In alcuni casi anche verso i miei concittadini, tappati in casa e passivi, incapaci di valutare quanto stava accadendo, comprendere il proprio stato di salute, essendo nella maggior parte dei casi persone sane che avrebbero battuto il virus anche senza vaccino cento a zero.
In tre giorni ci hanno trasformati in costruttori di guerra e di inimicizie, paventatori di odio e noia. Questa forma di regresso appare nuova, anche se in italia spesso, grazie ai media e ai politici, non ci facciamo mancare fasi di involuzione civica e sociale. E' nuova perchè è ispirata alla logica della conservazione asettica, disinfettata e disinfestata della propria integrità. Prima di tutto, prima di essere italiani dobbiamo presentarci puliti e sani, anzi sanificati verso gli altri.
Il coronavirus ha sdoganato la geografia del razzismo e dalla sfera internazionale in cui siamo stati razzisti verso i cinesi siamo passati a quella interregionale. Su Facebook ho letto di catanesi che si sono vantati nei confronti dei palermitani di non avere registrato casi all'ombra dell'etna, di alcune province lombarde che si sono autoaffermate efficienti nel sistema sanitario contro lo sfascio dell'ospedale di Lodi, una specie di isola del terzo mondo dentro un sistema sanitario asburgico. I temi della salute pubblica quando si tratta di minacce di contagio favoriscono l'esaltazione della purezza, in un senso però non strettamente fisiologico. Nella storia del novecento ci sono esempi di purezza e di corsa all'esaltazione di questa qualità individuale ed etnica che sono eccellenti. Molto più importanti e più pregnanti per questo tema dei discorsi di Feltri o di Fontana. Hanno fatto però milioni di morti.
A forza di stare in casa molti si sono sporcati. E' una lordura difficile da eliminare e da vedere perchè combattendo nel quotidiano il contagio si sentono più puliti, con le mani linde e le superfici dei mobili che sanno di alcool, candegina o amuchina. E' un tipo di sporcizia che si insinua dentro, una specie di turpiloquio emotivo con la nostra anima. Si alimenta della nostra paura: per i nostri genitori anziani, per i bambini, per i posti che frequentiamo di solito, per i bar, per il caffè servito nelle consuete tazze, a maneggiare soldi spicci. E' una paura che prende forme diverse, a volte si attacca alle nostre piccole nevrosi ed ho sentito anche che si preoccupava del vizio di mangiare le unghia. Una paura disumana che ci impedisce di trovare nel buon senso e nella ragionevolezza un equilibrio sostenibile, l'armonia con noi stessi e con gli altri che in buona misura ci ha condotti qui.
Baciamoci ed abbracciamoci se fa parte del nostro modo di incontrare l'altro, se lo vogliamo e ci va senza titubanze.

